Tocqueville sosteneva che in una società moderna il progresso dipende in primo luogo dalla capacità dei cittadini di associarsi. Banfield, in un saggio del 1958, partendo da questa tesi, arrivò a dire molto di più e cioè che l’arretratezza ha come causa principale la sopravvalutazione dei legami famigliari a scapito di interessi o forme associativi più vaste. Jean-Francois Revel, nello stesso anno, rincarava la dose e accusava gli italiani di pigrizia, di ignoranza del loro passato, di conformirsmo e di ipocrisia. Condannava i costumi di un Paese dove era ancora proibito (siamo, ripeto, nel 1958) usare termini come divorzio, aborto, preservativo. Tutti questi studiosi stranieri vennero naturalmente criticati, sostenendo per esempio che il concetto di “famiglia” è molto vasto, complesso e non lo si può racchiudere in definizioni troppo strette. Fu ricordato per esempio che per secoli il territorio italiano aveva subito innumerevoli prepotenze degli eserciti invasori che avevano a più riprese attraversato la Penisola. Per secoli la “famiglia” era stato il solo rifugio contro le vessazioni di signorotti e governanti famelici. Il bisogno di “famiglia” era stata una necessità di cuii ancora oggi si pagano le conseguenze.

Oggi comunque la famiglia è molto cambiata e anche se la pubblicità continua a presentarci padre-madre-due-bambini che corrono spensierati in un prato pieno di fiori, lo fa sempre più raramente. Oggi le famiglie sono formate molte volte da un solo genitore o da genitori conviventi senza essere sposati. In forte aumento sono le nozze civili.La forza dirompente della crisi, la difficoltà per i giovani di trovare un posto di lavoro ed un alloggio ha contribuito non poco a questa situazione.

Ora, volendo occuparci di politica, abbiamo scoperto che il “delfino” designato a succedere alla conduzione del partito-della-lega-nord era il “figlio” del “capo”, il tutto con l’approvazione ed il bene placido della ‘cosiddetta dirigenza leghista’. Addirittura nel volgere di qualche mese le cose erano andate nel modo che potesse diventare, senza averne le capacità, anche assessore regionale della Lombardia. Incredibile.

Che dire poi del Mastella, Ministro della Repubblica nel 2008. Appena eletto il governo Prodi, annunciò le sue dimissioni a seguito dell’arresto della moglie per tentata concussione. La sua frase più apprezzata dall’aula di Montecitorio fu: “Tra l’amore della mia famiglia ed il potere scelgo il primo”. Alcide De Gasperi, o Ugo La Malfa, Pietro Nenni o Enrico Berlinguer, Luigi Einaudi o Carlo Azeglio Ciampi (ed altri di pari livello) non avrebbero contrapposto in modo petulante la “famiglia” al “potere”.

La carica ministeriale come “potere”. Le dimissioni come rinuncia al “potere”. Una visione che esclude già fin dall’inizio il concetto di <res pubblica>, di collettività, di <civil servant> che un ministro dovrebbe sentire in modo assai forte.

 

Related posts:

  1. Apologo sull’onestà nel paese di corrotti
  2. Nessuno fallirà. Men che meno l’Italia.
  3. La libertà dei cittadini e quella dei servi