ShabangShabang » pensiero http://shabang.xoom.it/wordpress Il bauletto virtuale Mon, 06 May 2013 09:00:41 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.4.1 Specialisti analfabeti http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/specialisti-analfabeti/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/specialisti-analfabeti/#comments Sat, 22 Sep 2012 08:44:33 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=633 ↓ Read the rest of this entry...]]> Il politico ha il suo gergo, lo scienziato ha il suo vocobolario, il religioso i suoi punti di riferimento, il filosofo la sua visione del mondo, ecc. ecc., tutti però vivono nel medesimo contesto, incapaci di comprendere le altrui posizioni. Risiedono nel loro momolocale, massimi esperti della propria disciplina, ma incapaci di osservare a 360 gradi il mondo. Specialisti nel loro settore, ma globalmente sprovveduti. Forse uno dei maggiori ostacoli al progresso, fonte di rallentamenti, di improvvise fermate e/o di riprese stentate è proprio la difficoltà a sintonizzarsi sulle lunghezze d’onda dell’altrui pensiero e l”incapacità diffusa di cambiare treno e binario.

Quando lo scienziato lancia il sasso nello stagno dell’indifferenza e ad esempio dice che ‘la terra si sta riscaldando’ con possibili ripercussioni disastrose sulla vita futura del pianeta, dice una cosa sacrosanta evidenziata da osservazioni e registrazioni ottenute con sofisticate metodologie. Ma chi dovrebbe ascoltare e far tesoro di queste affermazioni, con poche eccezioni, si defila. Il filosofo, il religioso e/o il politico, che dovrebbero raccogliere questo grido, rimangono nell’ombra e se decidono di intervenire lo fanno in modo ingenuo, improvvisato, in generale semplificando la problematica. Grandi specialisti nella loro materia, ma analfabeti dell’altrui linguaggio. Niente di più deleterio per il progresso,

E, come se non bastasse la pura incomprensione di linguaggio, ecco intervenire una complicazione. che si manifesta con l’introduzione di semplificazioni e/o banalizzazioni di valori fondamentali. Compaiono improvvisamente terminologie e/o sigle particolari, che riempiono i media. Non è forse vero che le pagine dei giornali e la bocca dei commentatori televisivi sono piene di sigle e definizioni ai più sconosciute?

 

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Le agenzie di rating http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/le-agenzie-di-rating/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/le-agenzie-di-rating/#comments Thu, 05 Jul 2012 12:23:20 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=498 ↓ Read the rest of this entry...]]> Il lavoro delle agenzie di rating ha qualcosa di magico. Trasformare un ‘anonimo’ titolo quotato in borsa, di cui non si conoscono i retroscena e la storia, in un titolo dotato di un certificato che ne attesti la qualità, il ‘rating’ appunto, consente, a chi deve scegliere tra questo e quello, di operare con sufficiente sicurezza senza dover rintracciare ogni volta le sue ‘oscure origini’.

Emettere un giudizio relativo alla bontà ed al grado di affidabilità delle imprese e delle società operanti a livello mondiale nel settore della finanza, del credito, della produzione di beni ecc., è il toccasana per ogni investitore che si rispetti. Ma dopo aver osservato gli scandali che hanno riempito le cronache degli ultimi anni, pur riconoscendo che il mercato del rating ha una sua validità teorica, dobbiamo chiederci se in futuro sarà in grado di autoregolarsi oppure se dovranno intervenire entità esterne per garantirne trasparenza e imparzialità.

Le società di rating che si dividono circa l’80% del mercato sono tre: Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch. La maggiore di esse è S&P. Ha avuto come suo pioniere Henry Varnum Poor, che operava alla fine dell’ottocento con società ferroviarie e che nel 1923 iniziò col pubblicare il primo indice borsistico, quello di Wall Street, esistente ancora oggi e noto come ‘S&P 500′. Dopo essere finita in bancarotta durante la ‘Grande depressione’, risorse nel 1941 e si fuse con lo ‘Standard Statistics Bureau’, specializzato in dati e notizie sul credito e la finanza, informazioni che venivano vendute a chi ne faceva richiesta. S&P nel 1962 divenne una ‘public company’ quotandosi in borsa. Nel 1966 venne acquistata dal colosso dell’editoria scientifica e scolastica McGraw-Hill, che oggi è l’unico proprietario. Nel consiglio di amministrazione, oltre all’erede della famiglia McGraw, ci sono i Big Boss della Coca-Cola, dell’IBM, della BP e delle più importanti società farmaceutiche. Tutte aziende quotate, anzi BIG CHIPS, che fanno il mercato. S&P fattura quasi 2 miliardi e mezzo di dollari, circa un quarto del fatturato dell’intero gruppo McGraw-Hill.

La storia delle altre due società, Moody’s e Fitch è simile, e non si discosta molto, nel senso che chi le controlla sono gli stessi soggetti destinatari del giudizio ‘insindacabile’ emesso con la certificazione di ‘rating’.

Le agenzie di rating ricostruiscono i flussi di denaro, prendono nota di chi presta e di chi si indebita, rendono visibile ai più i retroscena finanziari e, cosa ancor più importante, compilano pagelle di merito. Questo lavoro deve ricevere un plauso generale, perchè in via teorica, come già accennato, è un lavoro necessario. Ma, in un settore dove, soprattutto oggi, tutto è molto complicato, vengono dati giudizi al d sopra delle parti e che rispecchiano la realtà oppure alcune volte questi giudizi sono fasulli e rispondono semplicemente a particolari interessi economici? Ed é qui dove sta il vero problema, nella validità morale del giudizio espresso. Ma c’è di più. La situazione si è notevolmente complicata nel momento in cui ci si è resi conto che anche i governi degli stati, piccoli o grandi che siano, dipendono da questi giudizi. Le agenzie di rating diventano così responsabili di decisioni che ricadono direttamente sulle popolazioni e non solo sugli ‘addetti ai lavori’.

In una recente intervista il Big Boss di Fitch ha detto: “…noi non prendiamo posizioni politiche, valutiamo il rischio paese” e giù a bacchettare il debito. Sta di fatto che, ad esempio, ogni volta che viene abbassato il debito dell’Italia, si scatena un pandemonio. Chi è al governo cerca di contrastare la doccia fredda che di solito si scatena da parte degli speculatori sui titoli pubblici e chi è all’opposizione si scatena contro il governo colpevole di non fare abbastanza.

I politici dichiarano, gli economisti sentenziano ed i giornali amplificano. Altro che giudizi tecnici basati su formule matematiche. Il ‘rating’ ormai fa parte del mercato politico e non solo di quello finanziario. Jonathan Macey, professore a Yale, alla Cornell University ed alla Bocconi, grande esperto di diritto commerciale, davanti alla commissione del senato americano dopo il crac Enron e sulle conseguenti responsabilità delle società di rating, ha dichiarato: “ Oggi, non offrono alcuna informazione davvero valida sull’affidabilità delle società, sarebbe meglio che le autorità preposte (la SEC in questo caso) evidenziassero il fenomeno e incentivassero l’abbandono dell’uso del rating ovunque sia possibile”.

Ma l’aspetto più evidente che c’è qualcosa che non va nel meccanismo del ‘rating’ e della sua attribuzione a questo ed a quello, è l’intreccio ampio e diffuso del conflitto di interessi che lega le società che emettono il giudizio ed il destinatario del giudizio stesso. Nel 2004 la SEC conclude l’indagine sul rating con un decalogo che modifica in sostanza la prassi, le procedure e le regole di condotta del meccanismo.

La commissione ha puntato il dito soprattutto su 5 questioni fondamentali:

  1. Le agenzie si fidano troppo spesso delle informazioni delle imprese stesse senza verificarle;
  2. i conflitti di interesse sono dovuti al fatto che a pagare per il rating sono le società stesse che emettono i titoli;
  3. i servizi alle imprese hanno sempre maggior peso;
  4. la trasparenza è troppo scarsa;
  5. ci sono troppi ostacoli per i nuovi arrivati, trattasi di un mondo troppo ‘chiuso’

 

Il codice di condotta emanato dalla SEC non è servito molto, la crisi dovuta dai subprime e dai ‘prodotti derivati’ ne è la prova e poi chi deve “misurare i misuratori”.

Sembra proprio essere questo lo slogan del prossimo futuro, ma chiedere maggiore regolamentazione significa anche ingessare il mercato ed è ben noto il principio che in campo economico non esiste la ‘protezione assoluta’.

 

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Il progetto federale http://shabang.xoom.it/wordpress/progetti/il-progetto-federale/ http://shabang.xoom.it/wordpress/progetti/il-progetto-federale/#comments Mon, 11 Jun 2012 12:28:16 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=425 ↓ Read the rest of this entry...]]> Leggendo il titolo penserete che di seguito trovere la solita manfrina leghista relativa al seguente pensiero demenziale: ‘ove esiste un governo legittimo e rappresentato, come in Italia, lo vado a sostituire con una federazione di piccoli-stati, egoisti e litigiosi’

Niente di tutto questo. Voglio parlarvi, come giustamente dovrebbere essere, della creazione di una federazione mondiale, che andrebbe a sostituire il ‘nulla’ ovvero della creazione di un organismo, di uno stato e di un governo mondiali, invece della completa assenza odierna di una rappresentanza democratica degna di questo nome.

Quale sarebbero i benefici derivanti dalla suddetta creazione? Innumerevoli.
Da circa 30.000 anni esiste sul pianeta terra, una sola specie vivente con una buona dote di intelligenza. Alcuni la chiamano “Homo-sapiens-sapiens” altri, i più, “specie umana”.Ogni essere umano deve disporre in conseguenza di una “cittadinanza mondiale”. Ciascuno deve avere il diritto di essere accolto in qualsiasi luogo, anche diverso da quello di nascita, e deve poter disporre di:

  • una serie di beni universali: aria, acqua, prodotti alimentari, casa, istruzione, lavoro, cure sanitarie, credito, cultura, informazione ecc. ecc.
  • una serie di libertà: religione, espressione, associazione ecc. ecc.

Reciprocamente ogni essere umano ha dei doveri nei confronti degli altri esseri umani, delle generazioni che verranno, delle altre specie viventi e del pianeta. Deve creare le condizioni per cui ogni essere vivente goda dell’accesso a tutte le conoscenza fino ad ora accumulate.

Attualmente esistono alcuni strumenti internazionali, come la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, che hanno abbozzato dei principi che dovrebbero valere in ogni stato e territorio, ma, o sono puramente teorici senza applicazione alcuna oppure mancano di norme relative, ad  esempio, ai diritti delle generazioni future. Tutte queste dichiarazioni sono ignorate oppure zoppe.

Serve quindi costituire un “esecutivo democratico planetario”, composto da:

  • parlamento
  • governo
  • sistema giudiziario
  • sistema finanziario

con la missione di realizzare uno ‘Stato’ mondiale. Serve anche un organismo di controllo che dovrà ostacolare la creazione di monopoli, soprattutto in merito a tutti i beni comuni.

Sento un coro levarsi … Utopia, utopia…. Giusto, oggi verrebbe da dire così, ma sarete sicuramente in sintonia con me, se vi ricordassi che è proprio questo che stiamo facendo con la costruzione della ‘Europa’, degli ‘Stati Uniti d’Europa’?

 

La strada europea è ancora lunga da percorre, anzi vediamo oggi che si cerca di uscire da una crisi devastante, che, per un verso, ne ha rallentato la marcia. Bisogna, proprio per questo essere consapevoli che ogni ostacolo deve essere uno stimolo per velocizzare il raggiungimento di ciò che era stato definito : unità europea.

Pensare ad un analogo percorso mondiale può anche fare sorridere (o piangere:-)), tuttavia concepire una strategia che possa portare a gestire in modo ragionevole il proprio futuro è possibile. Personalmente vedo la cosa alquanto stimolante. Invito tutti a farci un pensierino ed a esporre il cartello ‘lavori in corso’.

 

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Credenti e secredenti http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/ferraris/credenti-secredenti/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/ferraris/credenti-secredenti/#comments Sat, 19 May 2012 15:49:47 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=201 ↓ Read the rest of this entry...]]>  

di Maurizio Ferraris (29 ott. 2006)

Qualche anno fa,  è uscito un dialogo tra Umberto Eco  e il Cardinal Martini intitolato In cosa crede chi non crede?

A mio parere, tuttavia, anche più importante è domandarsi: in cosa crede chi crede?

La risposta, per il cristiano, pare semplice: basta recitare ‘il Credo’.

Però, a sottoporne il testo scarnissimo (211 parole compreso lamen) a una media di credenti, risulta che una percentuale importante, sino al settantacinque per cento, non capisce il significato di molte delle espressioni in cui dichiara di credere e, a rigore, di affidare le proprie speranze in questa e nellaltra vita.

Non meno interessante, sarebbe appurare quanti, a proposito delle cose che invece si capiscono benissimo (tipicamente, la resurrezione: chi non capisce cos’è, e chi non vorrebbe che gli toccasse?), ci credano poi davvero, e non dicano piuttosto: be’, sì, sarebbe bello, ma vacci a credere… Tantissimi credenti considerano la resurrezione un mito edificante, un po’ come quelli di Iside e di Osiride, la Luna e il Sole che tramontano e rinascono. Per se stessi, quei credenti (quei sedicenti e in effetti secredenti credenti) non è che sperino più di tanto nell’Aldilà, come è chiaro se si pensa a quanto si lotti per vivere a lungo nell’Aldiquà, anche sopportando restrizioni e diete che, se solo si coltivasse qualche speranza sull’altra parte, sarebbero buttate a mare insieme alle cyclette, ai cerotti antifumo e alle birre analcoliche.

L’interrogativo, o l’interrogatorio, si potrebbe estendere sistematicamente – anche se, lo riconosco, in maniera un po’ molesta – a mo’ di exit poll fuori delle chiese, con quesiti concernenti materie di fede, cominciando da cose molto semplici (al solito, la resurrezione della carne) per passare a questioni più complicate (per esempio, i fondamenti dogmatici dell’infallibilità papale).

E se, dopo l’ite missa est, l’exit poll dovesse a giusto titolo risultare un po’ troppo intrusivo e petulante, si potrebbe pur sempre ricorrere a un quiz estivo da pubblicare sui settimanali e sui magazine dei quotidiani, da compilare sotto gli ombrelloni. Lo si potrebbe strutturare nella classica formula a risposte chiuse, tipo quale dei tre?, dove ovviamente non si domandi di scegliere tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma semplicemente di segnare con una crocetta la risposta esatta a quesiti come: “Immacolata concezione” significa (a) “concepimento senza rapporti sessuali”; (b) “concepimento senza trasmissione del peccato originale”; (c) “ragionamento che non fa una pecca”.

Se ne leggerebbero, per così dire, delle belle. E gravi perplessità si incontrerebbero anche soltanto a domandare se la presenza di Cristo nell’ostia è reale o metaforica. Già che ci siamo, benevolo lettore, qual è il tuo avviso in materia? Non ne hai idea? O magari credi che sia una metafora? In questo caso, sei un eretico. Credi allora che sia una vera presenza? Fai bene, perché così è per i cattolici: ma prevedo che cosa mi risponderai – e non sarò certo io a biasimarti – che ne conosci tanti, di cattolici, che non credono alla vera presenza, o che magari non si sono mai posti il problema; eppure non si sognano neppure lontanamente di dubitare della propria appartenenza religiosa, né tanto meno di essere degli eretici. E come dargli torto? Ma, d’altra parte, come dargli ragione?

All’uscita delle chiese, dunque, o sotto gli ombrelloni del quiz estivo, ne vedremmo di tutti i colori o, più esattamente ci troveremmo nel folto di una lussureggiante foresta di nestoriani e monofisiti, di ariani e di catari, di seguaci di Melantone, Zwinglio o Carlostadio. Magari anche di docetisti e montanisti spontanei, benché forse non di ofiti e naasseni, e neanche di cainiti, perché un cristiano ha un bell’essere impreparato, ma non al punto di ignorare che non è ortodosso venerare il serpente o Caino. Questo cafarnao teologico si manifesterebbe, peraltro, non in persone che sostengono di avere un loro senso del divino che non va d’accordo con la religione, ma proprio in persone che si professano cattoliche, apostoliche e romane.


Ovviamente non è una cosa da poco, perché significa che l’oggetto, il riferimento – quello che i filosofi chiamano la Bedeutung – della fede, è una cosa del tutto oscura, almeno per molti credenti. Chi dice “credo in Dio” sta asserendo – in moltissimi casi, forse più di quanti non si creda – qualcosa di cui non controlla il significato e di cui per definizione ignora il referente; più o meno come se dicesse “credo nel Sarchiapone”. Capisco che un conto è credere in un oggetto vago, oscuro e comunque finito, come il Sarchiapone che, nella veneranda gag di Walter Chiari, stava dentro a un cestino, e un altro è credere in un oggetto, magari vago e oscuro, però infinito, come per l’appunto Dio. Si dovrà tuttavia ammettere che questa difesa è davvero debole, perché è come dire che chi crede in una cosa infinita crede in qualsiasi cosa.
Questa circostanza può far pensare. Che oggi non si brucino più gli eretici, forse non va ascritto a un’accresciuta tolleranza religiosa, né a una deplorevole indifferenza rispetto alle risorse energetiche alternative; più verosimilmente dipende in buona parte dal fatto che mancano le figure professionali capaci di scovare le eresie. E non ci sono più – comuni credenti o sacerdoti che siano, e magari anche principi della Chiesa o teologi – perché nel fondo, sospetto, non ci credono, e magari non gliene importa un fico (questo albero così evangelico).

Dire poi che la religione, nel mondo moderno, sopravvive come guida morale, è nascondersi il fatto che la religione non è essenzialmente una guida morale; è o dovrebbe essere qualcosa di più, o almeno di diverso: una visione del mondo che, se presa sul serio, può contrastare pesantemente con la ragione, con la scienza e – perché no? – con la morale corrente (quale giudice tutelare non toglierebbe la patria potestà ad Abramo, se venisse a sapere che non ha sgozzato suo figlio solo perché fermato da un angelo?); e che, proprio per questo, non viene presa sul serio ed è ridotta a guida morale, blanda e inosservata, in concorrenza con tante altre o addirittura come succedaneo di tante altre (canonicamente, nel “ritorno della religione dopo la crisi delle ideologie”).

Quanto poi al comportarsi bene, mi sembra che ci siano milioni (o almeno un paio) di buoni motivi per farlo, dalla buona coscienza al codice penale, passando eventualmente per la buona creanza; e che non abbiano nulla a che fare con l’esistenza di un futuro ultramondano, né a maggior ragione con un garante trascendente e ignoto ai più. Il fatto che la maggior parte dei conflitti coinvolga ora le religioni abramiche, armate le une contro le altre, mi sembra suggerire che, se per comportarsi bene bisogna litigare in continuazione, allora tanto meglio comportarsi male. Ma poi, bene o male rispetto a chi?

In effetti, tra le origini del mio disagio nei confronti della religione, c’è un monito di mia nonna, quando avrò avuto sei anni: “Non comportarti male, perché il Signore si offende”. E io, per schivare l’ammonizione con una domanda imbarazzante: “Chi è il Signore? Topolino?” Ripensandoci, non avevo poi tutti i torti: diversamente da altre autorità, come genitori, nonni, maestri e direttori, chi era questo enigmatico signore che si rattristava se non stavo composto a tavola? Sì, chi era esattamente costui? E che cosa aveva a che fare con il mio comportamento o con la mia famiglia? E che ne sapeva mia nonna? Non credo di essere stato l’unico a chiederselo, ma sono anche convinto che un credente dovrebbe domandarselo più spesso, o anche solo una volta nella vita.

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