ShabangShabang » scienza http://shabang.xoom.it/wordpress Il bauletto virtuale Mon, 06 May 2013 09:00:41 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=3.4.1 Specialisti analfabeti http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/specialisti-analfabeti/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/specialisti-analfabeti/#comments Sat, 22 Sep 2012 08:44:33 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=633 ↓ Read the rest of this entry...]]> Il politico ha il suo gergo, lo scienziato ha il suo vocobolario, il religioso i suoi punti di riferimento, il filosofo la sua visione del mondo, ecc. ecc., tutti però vivono nel medesimo contesto, incapaci di comprendere le altrui posizioni. Risiedono nel loro momolocale, massimi esperti della propria disciplina, ma incapaci di osservare a 360 gradi il mondo. Specialisti nel loro settore, ma globalmente sprovveduti. Forse uno dei maggiori ostacoli al progresso, fonte di rallentamenti, di improvvise fermate e/o di riprese stentate è proprio la difficoltà a sintonizzarsi sulle lunghezze d’onda dell’altrui pensiero e l”incapacità diffusa di cambiare treno e binario.

Quando lo scienziato lancia il sasso nello stagno dell’indifferenza e ad esempio dice che ‘la terra si sta riscaldando’ con possibili ripercussioni disastrose sulla vita futura del pianeta, dice una cosa sacrosanta evidenziata da osservazioni e registrazioni ottenute con sofisticate metodologie. Ma chi dovrebbe ascoltare e far tesoro di queste affermazioni, con poche eccezioni, si defila. Il filosofo, il religioso e/o il politico, che dovrebbero raccogliere questo grido, rimangono nell’ombra e se decidono di intervenire lo fanno in modo ingenuo, improvvisato, in generale semplificando la problematica. Grandi specialisti nella loro materia, ma analfabeti dell’altrui linguaggio. Niente di più deleterio per il progresso,

E, come se non bastasse la pura incomprensione di linguaggio, ecco intervenire una complicazione. che si manifesta con l’introduzione di semplificazioni e/o banalizzazioni di valori fondamentali. Compaiono improvvisamente terminologie e/o sigle particolari, che riempiono i media. Non è forse vero che le pagine dei giornali e la bocca dei commentatori televisivi sono piene di sigle e definizioni ai più sconosciute?

 

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Puro rumore http://shabang.xoom.it/wordpress/cultura-classica/storia-recente/il-rumore/ http://shabang.xoom.it/wordpress/cultura-classica/storia-recente/il-rumore/#comments Fri, 03 Aug 2012 08:17:50 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=593 ↓ Read the rest of this entry...]]> Quando nel 1948 Claude E. Shannon pubblicò la sua “Teoria matematica della comunicazione” nessun poteva immaginare quali e quante ripercussioni positive avrebbe avuto negli anni a venire. Lo studio di Shannon riguardava la capacità di “inviare velocemente, economicamente ed efficacemente messaggi da un posto ad un altro”. Senza entrare troppo nei dettagli tecnici, la comunicazione, ridotta da particolari dispositivi hardware ad un treno di messaggi, viene inviata da una sorgente ad un destinatario su un mezzo trasmissivo (cavo, etere, ecc.) che introduce “rumore”, cioè un’entità che cerca di corromperla. Ne consegue che questo “rumore”va limitato, altrimenti la comunicazione stessa diventa inaccettabile ed il canale trasmissivo scelto per il trasporto verrà abbandonato perché non affidabile.

Gli ingegneri delle comunicazioni, dagli anni ’50 fino ai giorni nostri, hanno dimostrato con i fatti che, l’applicazione della Teoria di Shannon alla pratica, ha portato enormi benefici nella vita di tutti i giorni, basti pensare per esempio alle email che vengono scambiate ogni giorno da un capo all’altro del mondo tramite internet, alle comunicazioni vocali mobili (telefonia cellulare) ed ai CD/DVD multimediali per l’intrattenimento e lo svago.

L’informazione è il contenuto della comunicazione e, se il destinatario la giudicasse insoddisfacente dal punto di vista ingegneristico, andrebbe migliorata od al limite interrotta. Faccio un esempio che credo tutti abbiano potuto sperimentare. Quando un utente telefonico parla con un altro utente e durante la conversazione la maggior parte delle parole delle frasi pronunciate diventano irriconoscibili, l’utente è portato ad interrompe la comunicazione ed a riprovare. Al successivo tentativo solitamente le cose si sistemano, gli ingegneri hanno lavorato molto bene e hanno implementato molto bene la teoria.

Ma veniamo al punto dolente, l’informazione viene trasportata in modo corretto, il destinatario riceve esattamente ciò che la sorgente ha trasmesso, ma la ritiene in parte o totalmente falsa, gli ingegneri hanno fatto il loro dovere, ma il risultato è pessimo. In altre parole se consideriamo due messaggi, uno pieno di significati e l’altro un puro “non sense” per la Teoria di Shannon i due messaggi sono perfettamente equivalenti. Il “rumore ingegneristico” è sotto controllo, ma il “rumore puro” dovuto alla mancanza di “significato” è al massimo.  Ma c’è di più. Aumentando la quantità di informazione prodotta, non sempre si ha un aumento anche del suo “significato”, anzi molti  sono convinti che le due cose siano inversamente proporzionali.

  • Se una sorgente trasmette troppo e senza” valore aggiunto”, continuare a “sintonizzarsi” su questo messaggio non è anche un forte condizionamento psicologico?
  • Non è forse questo l’anticamera del controllo della mente?
  • Quando i modelli vincenti prospettati sono la frequenza troppo alta, la ridondanza e la risonanza non vuol dire forse che il “rumore” è inaccettabile?
  • Non è forse vero che oggi la maggior parte delle sorgenti di comunicazione è come se trasmettesse “rumore puro” al 100%?
  • Non è forse vero che stanno aumentando le persone che voglio sentirsi “libere”?

Un’ossessiva campagna pubblicitaria, i commenti a più voci di una gara calcistica, i consigli degli “esperti” che tramutano in oro tutto ciò che toccano, sono i segnali caratteristici di una comunicazione funzionante, ma sono anche le caratteristiche della scarsità o, addirittura, della mancanza di informazione.

Stabilire un contatto con una sorgente di “rumore puro” oggi è molto semplice, basta navigare in internet, non per colpa della sua struttura, che è rimasta aperta proprio come fu pensata qualche decennio fa dai suoi progettisti, ma di un suo utilizzo becero e rivoltante, capace solamente di lucrare sulle disgrazie altri.

Internet mette in comunicazione tra di loro reti individuali (o locali) con l’utilizzo di “porte” e di “router” che dirigono e smistano l’enorme mole di messaggi che si instaurano tra tutte le sorgenti ed i loro destinatari. A parte il coordinamento per la definizione dei domini (DNS), non esiste nessun tipo di controllo che possa impedire ad una rete locale ubicata a Toronto di “parlare” con una ubicata a Madrid.

Se poi si analizzano i documenti ufficiali della comunità internet, i cosiddetti RFC, si scopre ad esempio che nel RFC 1958 si recita

<< In searching for Internet architectural principles, we must remember that technical change is continuous in the information technology industry. The Internet reflects this. Over the 25 years since the ARPANET started, various measures of the size of the Internet have increased by factors between 1000 (backbone speed) and 1000000 (number of hosts). In this environment, some architectural principles inevitably change. Principles that seemed inviolable a few years ago are deprecated today. Principles that seem sacred today will be deprecated tomorrow. The principle of constant change is perhaps the only principle of the Internet that should survive indefinitely.>>

ed inoltre

<<A good analogy for the development of the Internet is that of constantly renewing the individual streets and buildings of a city, rather than razing the city and rebuilding it. The architectural principles therefore aim to provide a framework for creating cooperation and standards, as a small “spanning set” of rules that generates a large, varied and evolving space of technology. >>

un vero elogio della libertà e della sua volontà di sopravvivenza.

 

 

 

 


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Roba da medioevo http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/roba-da-medioevo/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/roba-da-medioevo/#comments Thu, 02 Aug 2012 07:38:43 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=583 ↓ Read the rest of this entry...]]> Tutti lo pensano: il medioevo fa paura. Tra Inquisizione, peste, carestie, torture e angherie varie, quando oggi si pensa al medioevo, ci assale un senso di terrore. Anche nel nostro vivere quotidiano ogni volta che ci troviamo di fronte a casi d’ingiustizia, arretratezza, ottusità, ignoranza, inefficienza, prevaricazione e violenza il commento che ci viene spontaneo è: << roba da medioevo.>>. Il medioevo ci viene in aiuto per costruire similitudini, ad esempio, parlando di università, i professori sono “baroni” e i luoghi in cui esercitano il loro dominio sono “feudi”, questo perchè ci troviamo di fronte ad un sistema assai ingiusto, un sistema feudale appunto.

L’interpretazione secondo la quale il medioevo è il tempo delle tenebre è abbastanza diffusa e ciò ha un impatto considerevole sul nostro modo di pensare fino a farci ritenere che, secondo alcune scuole di pensiero, il medioevo è alle nostre porte. La sensazione che l’umanità stia ritornando al medioevo è presente, basta fare un giro sul web.

Crisi sociali, assenza di valori morali, inquinamento, scontro tra civiltà, riscaldamento del pianeta e non ultimo l’affacciarsi di malattie sconosciute fanno ritenere esatta l’ipotesi che il mondo stia peggiorando anno dopo anno ed alcuni addirittura ritengono imminente la “fine del mondo”. Questo modo di pensare è sempre più diffuso, ma perché? Perché purtroppo molti fra coloro che giudicano negativamente l’epoca in cui viviamo, paragonandola con disgusto al medioevo, nutrono l’idea di una continua decadenza contemporanea imprigionati ed incapaci come sono di abbandonare vecchi e nuovi pregiudizi, contrapponendo l’idea illuminista e positivista del continuo progresso della specie umana ad una idea oscurantista che presenta e mantiene una negatività della conoscenza e del sapere, come ad esempio negando l’evoluzionismo con i ‘se’ ed i ‘ma’ (Evoluzione e chiesa cattolica).

Ma il medioevo significa anche “crociate” ed è avvenuto di recente che alcuni movimenti cristiani tradizionalisti e la stessa amministrazione americana (Bush) hanno pensato e parlato di uno scontro tra mondo cristiano e mondo arabo proprio come se si trattasse della”decima crociata” (le altre nove risalgono all’epoca medioevale). Niente più che prese di posizione dettate da un sentimento di odio razziale e religioso con venature di grossi interessi economici da salvaguardare. Dunque, anche scontro di civiltà.

Ma la chiesa cattolica e il Vaticano, come si collocano in questo scenario di “guerra santa”? La Santa Sede ha osteggiato con tutti i mezzi diplomatici l’entrata in guerra contro l’Iraq e si è ben guardata dal considerare la missione guidata dagli Stati Uniti d’America come una “crociata”. Se non l’avesse fatto avrebbe giustificato una presunzione teocon [1] di considerare il conflitto anche come una guerra di religione. Ma, nel 2006 papa Benedetto XVI durante una lezione all’università di Ratisbona, aveva ribadito il concetto che il carattere non ragionevole di una fede che pretende di affermarsi con la violenza, non era condivisibile. Dunque, Islam e ji-had, citati direttamente, Cristianesimo e crociata, taciuti. Il giudizio sulla ji-had chiaro e limpido, quello sulla crociata non espresso ovvero mancante.

[1] Il termine teocon è stato usato (anche in Italia a partire dal 2004, fuori dell’ambito culturale statunitense di riferimento primario del termine), per indicare alcuni movimenti cattolici o persone di orientamento cattolico e conservatore. Tra questi, Comunione e Liberazione, l’Opus Dei e i Legionari di Cristo.

 

 

 

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Il “Copyright”, questo sconosciuto. http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/stallman/il-copyright-questo-sconosciuto/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/stallman/il-copyright-questo-sconosciuto/#comments Sat, 21 Jul 2012 08:34:13 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=540 ↓ Read the rest of this entry...]]> A tutti è noto che le opere dell’intelletto vanno tutelate, ma è un errore fare di tutta l’erba un fascio e non considerarle singolarmente per evidenziarne l’utilizzo e le ripercussioni che ogni opera ha sugli altri individui e sull’intera società. Se quindi analizziamo la questione dal punto di vista etico, le opere vanno divise, secondo Richard M. Stallman, in tre categorie: “funzionali“, “testimoniali” e “personali“.

Fanno parte della prima categoria:

  • tutti i libri di testo
  • tutti i dizionari
  • tutti i programmi informatici

Alla seconda categoria appartengono::

  • relazioni scientifiche
  • documenti storici

Dell’ultima categoria fanno parte tutte le opere di espressione personale quali:

  • diari
  • resoconti
  • autobiografie

Delle tre categorie solo i documenti apparteneti alla prima dovrebbero garantire i diritto illimitato alla creazione di versioni modificate, mentre per la seconda e la terza tale diritto dovrebbe essere regolamentato a seconda della volontà dell’autore. Infatti modificare un documento appartenente alla categoria “testimoniali” potrebbe significare anche stravolgerne completamente il contenuto e alterare uno solo dei documenti appartenenti alla terza categoria (personali) significherebbe mutare i ricordi ed il punto di vista dell’autore.

Indipendentemente dalla categoria di appartenenza, dovrebbe essere consentita la libertà di copia e redistribuzione “non commerciale” di qualsiasi opera.

Consentire per esempio agli utenti di internet di generare copie di una canzone, di un libro o di un film da distribuire in ambito privato, dovrebbe essere consentito da ogni norma vigente. Dal punto di vista etico è insopportabile che lo stato con leggi liberticide, si frapponga tra un privato cittadino (l’utente) ed un altro privato cittadino (l’amico). Solo uno stato di polizia potrebbe impedirlo.

Questa è l’interpretazione etica, ma in realtà, l’interpretazione legislativa, come si colloca nel vita normale dei cittadini?

Ecco dove sta il punto. Spostando la visione dalla questione etica alla questione legislativa, vediamo un’altra realtà, quella repressiva. I tribunali continueranno ad interpretare le norme attuali, anche in forma più restrittiva del dovuto, perchè è così che tali norme sono state volute dagli editori. Con il passare degli anni essi hanno influenzato, tramite i loro centri di potere, i politici di turno (l’hanno fatto in ogni parte del mondo), costruendo una rete di leggi, legginie, con capitoli, paragrafi, comma e sottocomma, atti ad imbrogliare qualsiasi tentativo di libertà.

Se poi ci limitiamo a considerare il caso della prima categoria e dei programmi informatici, il cosiddetto software per i computer, diventa evidente che la possibilità di eseguire delle copie e di condividerle, è non solo eticamente plausibile, ma lo dovrebbe essere anche legislativamente. Perchè mai si dovrebbe considerare equiparabile un contratto per l’uso di un terreno ad un contratto per l’uso di un Sistema Operativo per i computer? Eppure è di questo che si tratta.

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Unità nella diversità http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/unita-nella-diversita/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/unita-nella-diversita/#comments Wed, 11 Jul 2012 19:15:57 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=511 ↓ Read the rest of this entry...]]> La comunità scientifica internazionale definisce “darwiniana” la teoria secondo la quale avvengono i meccanismi relativi alla variazione, alla ereditarietà ed alla selezione della vita sulla terra, la cosiddetta “teoria dell’evoluzione”.
Nel secolo scorso sono nate intere discipline biologiche che ci hanno fatto capire meglio come sono avvenute estinzioni di massa, migrazioni, grandi separazioni e avvicendamenti di specie nei vari contesti geografici.
Tuttavia mancano ancora spiegazioni soddisfacenti su moltissimi elementi della teoria. Si sono evidenziati infatti molti dubbi ed incertezze, dimostrazione evidente che l’evoluzione è un campo aperto ed in rapida mutazione, dove resta ancora molto da scoprire e dove non mancheranno accanite discussioni tra gli scienziati, con probabili revisioni teoriche.
Le conoscenze sulla natura della specie umana fanno ritenere che, pur nella unicità dei singoli individui che la compongono, la sua origine sia stata comune. Tutti gli uomini portano con sè i segni di una “unità di discendenza” che li accomuna, ma contemporaneamente anche i segni delle diversità che via via si sono verificate ed accentute dovute alle diverse realtà esistenziali.
La chimica delle cellule, la fisiologia umana e vegetale, la microbiologia sono le materie che impattano sullo studio dell’evoluzione, che producono attività tipiche da laboratorio asettico con aria condizionata al seguito, ma anche altre attività come gli scavi di un paleontologo sotto il sole cocente del deserto o gli appostamenti di un primatologo nella giungla.
Tutto questo porta a ritenere validissimo il pensiero di Charles R. Darwin, il naturalista inglese che nel 1859 ne “L’origine della specie”, per primo teorizzò l’esistenza di una relazione di parentela tra tutti gli esseri viventi, che la selezione naturale attraverso molteplici elementi ha creato e manipolato.
Darwin utilizzò nei sui taccuini giovanili l’espressione “l’albero della vita” per descrivere i rapporti fra le varie specie che si sono generate da un unica matrice. Due specie sono imparentate tra di loro se hanno un antenato comune. Per esempio, l’uomo e lo scimpanzè sono parenti, perché 6-7 milioni di anni fa in Africa, viveva un loro antenato. Oggi uomo e scimpanzè sono due specie molto diverse tra di loro, grazie all’evoluzione che li ha interessati rispettivamente, ma ciò non toglie che ambedue siano assimilabili a “cugini”. Se poi andiamo indietro nel tempo lungo i rami dell’albero della vita, scopriamo che tutti i mammiferi condividono un antenato comune con i rettili, vissuto 300 milioni di anni fa e che tutti i vertebrati condividono un antenato vissuto circa 500 milioni di anni fa.

Dopo tutta questa bella teoria però ci scontriamo giornalmente con la cruda realtà, che ci evidenzia i malaffari della nostra classe dirigente e che ci fa pensare a mostri con sembianze umane che tentano di fagocitarci. Vorremmo ad esempio che la scienza evolutiva ci desse una risposta definitiva su questi soggetti, studiandone uno a campione: il  “miliardario ridens”,ad esempio, tipico rappresentante della distorta fauna che ci circonda. Vorremmo sapere cosa ci ‘azzecca’a con noi, illustri discendenti di eroiche stirpi che si sono evolute millennio dopo millennio e sono venute a popolare il pianeta terra, questo omuncolo che influenza e schivazzi per lo meno il 30% degli italiani. Vorremmo che un qualsiasi laboratorio di ricerca raccogliesse un campione del suo DNA, ci desse un’occhiata e ci dicesse se appartiene al genere umano.  Se fosse, per pura ipotesi, dimostrato che non ci ‘azzecca’ per niente con la razza umana, la sua pericolosità sarebbe talmente evidente fino a far ritenere necessario un intervento chirurgico riparatore.:-)

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Un cervello indifeso http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/cervello-indifeso/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/cervello-indifeso/#comments Sat, 07 Jul 2012 14:54:13 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=504 ↓ Read the rest of this entry...]]> Da sempre il diritto riconosce la “pazzia” come attenuante nel giudicare le azioni criminali di un determinato individuo. L’incapacità totale o parziale di intendere e di volere oppure l’infermità mentale, se riconosciuta, in ogni paese ed in ogni livello di giudizio “scusano” l’imputato fino a considerarlo “quasi” innocente.
Oggi conosciamo i progressi che sono stati raggiunti in campo medico e diagnostico, anche per quanto riguarda il funzionamento del cervello umano. Sono stati evidenziati i rapporti esistenti tra irrazionalità e comportamenti condizionati da anomalie genetico-celebrali.
Emerge piano piano una nuova immagine dell’uomo, non più diviso tra anima e corpo, libero e razionale, ma bensì frutto dell’evoluzione e dell’irrazionalità, dominato dalle passioni, molto meno libero, menomato nelle sue azioni quotidiane da impedimenti neuro-celebrali che uccidono la mente, modificano i pensieri e condizionano i comportamenti, come nel caso di assunzione di droghe.
Da un paio di decenni nelle aule dei tribunali a volte sono comparse tesi difensive che tentano di dimostare una correlazione tra comportamento criminale ed anomalie proprie del cervello. Se fosse provata una menomazione cerebrale, renderebbe l’individuo sotto processo non responsabile della propria condotta ed addirittura non perseguibile penalmente, proprio come nel caso di giovani adolescenti. Sappiamo infatti che i neuroni della corteccia prefrontale raggiungono la piena maturità solo dopo il ventesimo hanno di età, quindi ben fanno i giudici in occasione di reati commessi da giovani individui a riconoscere la semi-incapacità ad intendere e volere.

Ma quando siamo di fronte a soggetti adulti, con qualche problema psichico, la strategia difensiva portata avanti dagli avvocati molte volte ricorre alla tecnologia medica, che oggi è in grado di fornire risonanze magnetiche e tomografie computerizzate, che permettono di comprendere lo stato di salute e le funzionalità di certe aree celebrali. L’uso che solitamente se ne fa di questi documenti é quello di evidenziare lesioni e difetti per consentire ai medici di intervenire per prevenire e curare. Quando però questi documenti servono in tribunale alla difesa per tentare di dimostrare che è intervenuta una causa esterna che ha permesso l’annullamento del proprio controllo volontario, nel caso di situazioni estreme, come infanticidi e pluriassassinii, ben fanno certi giudici a rifiutare il nesso tra danno neuro-celebrale e propensione alla violenza.

Come è possibile, ad esempio, applicare simili attenuanti ad Anders Breivik che nel luglio del 2011 ha assassinato a sangue freddo 77 persone a Oslo senza una motivazione se non quanto dettato da un suo delirio ideologico? In questo caso qualche cosa di orribile deve essere avvenuto nel suo cervello. Forse un tumore ha annebbiato i suoi istinti naturali? Forse non sapremo mai cosa è successo in quel cervello, ma una cosa è certa quel signore dovrà passare i suoi anni ad espiare.

Invece, in casi più ‘normali’ oltre al “mancato adattamento”, in chiave sociologica, che porta i rei a vivere per anni in comunità di recupero, oggi esiste il “malfunzionamento cerebrale”, in chiave neuroscientifica, che, grazie al nascente “neurodiritto”, si sta affermando come incalzante rivoluzione dei concetti giuridici che regolano la nostra società. Questa situazione si prefigura come ineluttabile conseguenza dovuta alla ormai devastante incapacità del cervello di difendersi dagli attacchi della scienza medica.

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Solo tre cose non servono alla scienza http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/giorello/solo-tre-cose-servono-alla-scienza/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/giorello/solo-tre-cose-servono-alla-scienza/#comments Fri, 29 Jun 2012 08:29:13 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=474 ↓ Read the rest of this entry...]]> Per Charles Sanders Peirce sono tre le cose che non possiamo mai sperare di raggiungere con il ragionamento: la certezza assoluta, l’esattezza assoluta e l’universalità assoluta. Solo la critica può consentire piena indipendenza all’indagine scientifica. Il ritenere che tra le pieghe della scienza debba annidarsi un atteggiamento fallibilistico del sapere deve essere lo stile di vita dello scienziato. Al contrario, per evidenti ragioni, il ‘conservatorismo’ è totalmente fuori luogo ed è la storia che ci insegna che ogni progresso è avvenuto perchè il radicalismo ha dato quell’urgenza e quell’impazienza necessarie per sperimentare, per scoprire nuove realtà.

Oggi assistiamo ad un ritorno degli strali neoconservatori, soprattuto inerenti al rapporto tra fede e ragione. Darwin ci ha mostrato che il metodo della ‘selezione naturale’ è una simulazione delle azioni del ‘Creatore’. La teoria evoluzionistica rappresenta l’autentico fondamento della comprensione razionale del mondo. Anche la chiesa cattolica non disconosce le prove scientifiche che starebbero alla base dei processi evolutivi, ma quello che viene confutato è il principio secondo il quale la ‘filosofia evoluzionistica’ sia l’unica spiegazione possibile. Non solo, è convincimento largamente diffuso tra le gerarchie ecclesiastiche, che la cultura scientifica dominante fa ritenere non possibile l’esistenza di altri livelli di pensiero oltre a quello razionale. Sulla base di questi errati convincimenti, viene rifiutato a priori ogni tipo di discorso. Occorre riconoscere che, anche se ci fosse da parte della comunità scientifica un simile atteggiamento prevaricatore, durerebbe poco perché non troverebbe cittadinanza nella pratica della scienza stessa, come dimostrato ormai da qualche secolo.

Forse a questo punto, la questione non riguarda il rapporto tra fede e razionalità, ma tra fallibilismo e infallibilismo, tra una verità che non vorrebbe salvare neanche se stessa e la verità che promette salvezza a chiunque si sottometta. Questione di lana caprina? Non direi, si tenga conto che alla base di scelte pratiche di vita stanno anche scelte filosofiche. Quando si dice che la vita è ‘sacra’, solitamente non ci si riferisce ad un fatto scientifico, ma quando si parla di fecondazione assistita, di statuto dell’embrione umano e della diagnosi preimpianto ecc., o si lasciano andare le cose secondo il caso o si eseguono interventi responsabili. Per quale ragione si vuole precludere ogni indagine ed ogni cura? Perchè uno stato etico/teocratico dovrebbe avere il diritto/dovere di vincolare scelte così personali? Perchè i cittadini dovrebbero vivere in quello stato di eterna inferiorità, che impedirebbe loro di assumere le proprie responsabilità?

La verità è che si vuole dividere e discriminare per ‘imperare’ e reprimere.

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La verità scientifica http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/giorello/la-verita-scientifica/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/giorello/la-verita-scientifica/#comments Sat, 19 May 2012 08:57:58 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=177 ↓ Read the rest of this entry...]]> Intervista con Giulio Giorello (1998)

Intervistatore: Oggi parleremo di cosa si intende per verità in campo scientifico con il professor Giulio Giorello  insegnante di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano. “Filosofia” è un termine che significa “amore del sapere”. Forse non c’è sapere così importante per noi, così incisivo sulle nostre esistenze, come la scienza.
La verità scientifica, la verità nella matematica, la verità nella fisica, nella chimica, nella biologia e in tutte le discipline normalmente si insegnano anche nella Scuola Media Superiore, ma è l’insegnamento all’Università, con altra veste ed altri aspetti, che te li fanno comprendere e che poi si riprendono nella vita adulta.
Non è un tema facile. Cosa sia mai la verità scientifica può spaventare; forse però il modo migliore per accostarsi è tener presente che questa verità non è soltanto “di parole”, ma è qualcosa “di fatti”, anzi di manufatti, di congegni, di artifici, di apparecchi..

Intervistatore: Che cosa si intende oggi per verità scientifica?

Giorello: La risposta più naturale sarebbe quella di dire che la verità scientifica è ciò che abitualmente gli scienziati credono e accettano. Naturalmente questa risposta lascia aperto il campo a una serie di ulteriori domande
Facciamo un esempio. La comunità scientifica di un tempo, o almeno quelli che allora si chiamavano i “filosofi della natura”, credeva che il vuoto non esistesse: il vuoto è il “non essere”, e quindi non c’è. Per cambiare idea ci vollero degli eretici (in un qualche modo), cioè dei contestatori di quello che veniva insegnato.
Noi potremmo dire che la verità scientifica è quello che viene controllato in un qualche modo dalla comunità scientifica. Non è soltanto quello che viene creduto, ma proprio quello che viene controllato con l’esperimento o con il ragionamento intellettuale.
Galileo Galilei parlava di “sensate esperienze e certe dimostrazioni”. Le certe dimostrazioni sono quelle della geometria e più in generale della matematica, mentre le sensate esperienze sono le esperienze dei nostri sensi, e anche quelle che facciamo in laboratorio.
Forse le verità scientifiche non sono così definitive come spesso si crede. Tante volte quello che noi riteniamo una verità scientifica ben controllata è qualcosa che, con una strumentazione più raffinata, viene ridotta di portata, e diventa meno universale. Questa “verità” è sostituita da una verità un po’ più profonda.
Noi riteniamo che una verità scientifica non sia altro che un enunciato che in un qualche modo noi possiamo controllare e che può essere anche scartato e sostituito da un altro, che ci permette di capire meglio le esperienze che facciamo, le osservazioni che vengono registrate.
In questo senso, quello che ci importa non è tanto il possesso di un qualche cosa, ma la tensione, lo sforzo che facciamo.
Ciò che io ho controllato lo puoi controllare anche tu, perché – come dicevano giustamente Galileo, Cartesio, Pascal, e tutti i grandi padri fondatori della scienza moderna – qualunque persona che sia in grado di intendere e di volere, e che abbia volontà di applicarsi, è in grado di fare e controllare quell’esperienza. La scienza è pubblica e controllabile da chiunque. Se è controllabile e pubblica, è anche insegnabile.

Intervistatore: Che rapporto c’è tra verità e realtà?

Giorello: Ogni persona sarebbe portata a credere che una cosa è vera se “fotografa bene”, “rispecchia bene” la realtà che ci circonda. Ma la realtà ha più d’una faccia, ha più d’un aspetto che può essere analizzato. Faccio un esempio, perché è meglio sempre che parlarsi per esempi. Tutti conoscono il modello dato da Galileo della caduta dei gravi. Tutti i corpi cadono secondo la stessa cinematica, con la stessa accelerazione. Quindi la stessa equazione descrive tanto la caduta d’una piuma quanto la caduta di una palla di cannone. Tuttavia, se guardiamo l’esperienza comune, non succede così. Perché? Perché la legge di Galileo, così come l’ho enunciata, è incompleta. Bisogna aggiungere, per esempio: “nel vuoto”. E’ cosa interessante che torniamo ancora al vuoto, perché questa intuizione di Galileo è stata sviluppata prima che la generazione successiva, quella dei Pascal o dei Boyle o del nostro italiano Torricelli, facessero gli esperimenti con le pompe aspiranti.
Bisogna allora dire: “Attenzione, questa legge di Galileo vale soltanto, soltanto se si è tolto via il mezzo” (il mezzo sarebbe la sostanza appunto attraverso la quale la palla di cannone e la piuma cade), per esempio l’aria. “Rendere il più possibile rarefatta l’aria”, diceva Galileo. Che vuol dire? Che la nostra immagine scientifica della realtà non rispecchia mai completamente la realtà, perché bisogna dimenticare qualche fattore di perturbazione: in questo caso, l’aria.
Le nostre leggi, in realtà, sono molto più approssimate che esatte, perché bisogna sempre tener presente che ci sono un mucchio di fattori perturbanti.
Questo vale già per una scienza come la matematica. Pensiamo a cosa succede a studiare, ad esempio, un processo del vivente, lo sviluppo di un embrione per esempio, oppure pensiamo a quella che si chiama la “dinamica di una popolazione”, per esempio come si equilibrano prede e predatori in una situazione geografica. Oppure pensiamo a una situazione economica costruita dall’uomo o a una situazione sociale. Man mano che si prendono in considerazione oggetti sempre più complessi, i fattori di perturbazione diventano tantissimi. La realtà è forse infinitamente più complessa e non smette mai di sorprenderci. La gente che si esaltava con le grandi conquiste della meccanica newtoniana, aveva delle informazioni sul nostro universo molto diverse da quelle che noi abbiamo ora. Per esempio, aveva delle idee diverse sul numero dei pianeti, non riteneva che l’universo fosse grande o vecchio quanto noi oggi lo riteniamo, ecc.
La natura ha continuato a sorprenderci. Questo senso di sorpresa della natura, che ci mostra come le nostre immagini siano in qualche modo anche sfocate e vadano continuamente corrette, è forse quello che rende l’impresa scientifica un’avventura, un’avventura affascinante.

Intervistatore: Che rapporto c’è oggi giorno tra verità scientifica e verità filosofica? Ossia come si pongono gli scienziati rispetto alla filosofia?

Giorello: Io credo che ormai ci sia una sostanziale differenza fra filosofia e scienza, anche se esse sono nate insieme con l’antica Grecia.
La differenza è questa: molti scienziati hanno la sensazione di una crescita del loro sapere, anche drammatica, anche segnata da rivoluzioni scientifiche. Il filosofo ha piuttosto la sensazione di riproporre gli eterni interrogativi. Oggi non facciamo più un esperimento per dimostrare l’esistenza di Dio, e forse nemmeno ci lasciamo convincere da una dimostrazione dell’esistenza di Dio, anche se in passato se ne sono fatte alcune, che erano argomenti logicamente anche molto interessanti.
Forse ogni scienziato ha la sua personale filosofia o forse, come diceva Albert Einstein, lo scienziato è un opportunista, che, quando ha bisogno di una filosofia particolare, se la prende e la usa, salvo poi passare ad un’altra, a seconda di dove lo sta guidando la propria ricerca.

Intervistatore: Lei pensa che la verità scientifica si tramuti in progresso per l’umanità?

Giorello: Dipende da cosa si intende per progresso. Se per progresso s’intende la crescita della conoscenza, credo che sia indubbio che oggi ne sappiamo un po’ di più dei tempi di Newton, e che Newton ne sapeva di più di Galilei. Se come progresso s’intende il successo tecnologico, anche qui credo che il mondo in cui noi viviamo stia a dimostrare che il progresso c’è stato.
Il buon vecchio Bacone diceva che Aristotele è stato importante, però tre invenzioni hanno cambiato il mondo, ai suoi tempi: la bussola, la stampa e la polvere da sparo.
Il mondo è cambiato in meglio, secondo le nostre speranze e i nostri auspici? Qui ritorna il problema del codice morale. Può darsi che, dal nostro punto di vista, il progresso tecnologico non sia un progresso in assoluto; può darsi che noi siamo terrorizzati dalle grandi capacità della tecnica, più che della scienza, di uccidere.
Enrico Fermi diceva che, dopo tutto, la comparsa della bomba atomica e poi di ordigni sempre più potenti aveva in qualche modo frenato almeno le grandi potenze dallo scatenarsi in conflitti locali. Dipende da che cosa intendiamo noi come progresso a livello morale.

Intervistatore: Per il benessere dell’umanità non è meglio in certi campi fermare la ricerca, la ricerca della verità scientifica? Mi riferisco, in particolare, alla genetica.

Giorello: Sì, ci sono degli scienziati che la pensano così. C’è stato un genetista che ha rinunciato a lavorare nel campo della sperimentazione genetica. Anche queste sono scelte molto legate, io credo, alla coscienza individuale. Stiamo attenti che questo non diventi una filosofia di Stato, perché ci sono anche esempi di società che, per paura dell’innovazione scientifica e tecnologica, hanno fermato la ricerca e poi sono state sopraffatte.

Intervistatore: Attualmente qual è il rapporto tra scienza e religione?

Giorello: Io credo che oggi il rapporto tra scienza e religione sia un rapporto di neutralità, come diceva, tra l’altro, un filosofo scomparso di recente, Paul Feyerabend.
Oggi cerchiamo di invadere il meno possibile i campi reciproci. Non è stato sempre così.
Coloro che sostenevano che la terra è rotonda, che è concezione già greca per molti versi, furono osteggiati dalle autorità religiose, che invece pensavano a una terra piatta, per un lungo periodo di tempo. Poi però sono venute le navi di Colombo. Colombo era convinto di fare la volontà di Dio, e che uno dei rilievi che egli vede in uno nei suoi viaggi fosse la montagna del Purgatorio. Però queste montagne del Purgatorio son state poi sfruttate e economizzate.
Quindi, in un qualche modo, si ha l’impressione che la religione si sia un po’ ritirata nelle sue pretese. Noi sappiamo che il Sommo Pontefice ha chiesto “scusa” a Galileo Galilei per la condanna del 1633, quando Galilei fu condannato per aver sostenuto, in scienza, qualcosa di diverso da quello che volevano i suoi censori francescani e domenicani.
Può darsi che questo divario sia destinato ad aumentare. Noi non lo sappiamo. Oppure è possibile che la scienza ritorni a riproporre proprio quei temi che possono accendere una nuova religiosità.

Intervistatore: Si può dire che parlare di verità scientifica e di verità in genere è un parlare di convenzioni, di convenzioni che nascono da una necessità di intendersi?

Giorello: Il momento delle convenzioni è importantissimo, ma non è l’unico. Prendiamo il caso appunto della matematica. Noi matematici fissiamo i postulati di partenza, di Euclide per esempio, ma poi i problemi che vengono fuori sfuggono al nostro controllo. Non è che noi siamo dei padroni assoluti.
Il fatto che il quinto postulato di Euclide – quello secondo il quale per un punto, fuori da una retta data, passa una e una sola retta parallela alla retta assegnata – non sia deducibile dagli altri, è un fatto contro cui il matematico sbatte i denti, esattamente come sbatte i denti anche lo scienziato empirico quando ha un’anomalia o qualche cosa che non gli torna.
Quindi noi siamo padroni delle nostre convenzioni, ma fino a un certo punto. Le convenzioni lavorano per conto loro. Anche il matematico si trova di fronte a problemi oggettivi. Non c’è solo convenzione, ma c’è anche una resistenza della materia: è questa che rende la questione così affascinante perché, se tutto fosse convenzione ed arbitrio, la scienza sarebbe solo un giochetto. Invece non è un gioco, è una sfida continua dell’intelligenza: con i numeri, con i laboratori, e qualche volta con i laboratori e con i numeri insieme.

Intervistatore: Non si può parlare allora di una verità immortale, universale, visto che ogni epoca ha le sue scoperte?

Giorello: Io penso che, proprio perché una teoria scientifica ha una “pretesa di universalità”, essa potrà essere superata nel futuro. Quando Newton formula la legge della gravitazione universale, egli è convinto che valga per tutte le masse e a qualunque distanza. La meccanica newtoniana doveva valere per qualunque velocità. Poi noi abbiamo capito che, per le velocità vicine a quelle della luce, ci vuole una meccanica più sofisticata.
L’aspirazione è sempre verso qualcosa di universale, anche se Newton e Einstein sono persone nate in un contesto culturale ben preciso, con un certo tipo di credenze, con un certo tipo di educazione, che senza dubbio ha influito sullo stile con cui hanno comunicato le loro scoperte. Quindi io credo che noi dobbiamo riconoscere da una parte la relatività delle teorie scientifiche, ma anche prendere sul serio la loro pretesa di universalità: altrimenti sarebbero una semplice espressione culturale. Invece la scienza vuole essere qualcosa di più, vuole essere anche il fondamento, per esempio, di una tecnologia di successo e vuole spiegare appunto come è fatto il mondo, anche in casi molto difficili.

Intervistatore: Quali sono i presupposti necessari per trovare una verità scientifica?

Giorello: Si può rispondere soltanto in questo modo: avere una società abbastanza illuminata dal finanziare molti programmi di ricerca, magari in concorrenza: lasciare che cento fiori fioriscano, e che il dibattito corra nella maniera più libera e più spregiudicata possibile.
Quando dico “più libera e più spregiudicata” volevo riprendere proprio una cosa che dicevano loro prima, e cioè che c’è un momento della comunicazione scientifica, che va oltre quello che è semplicemente per “gli addetti ai lavori” e arriva a largo pubblico. Il largo pubblico recepisce certe cose, forse non certe altre. Quindi si pone un problema anche di educazione alla scienza.

Intervistatore: Professore, il fatto che in alcuni campi esistono più verità scientifiche, a volte in contraddizione tra di loro, non può indurci a pensare che non esiste una verità assoluta, cioè una verità assoluta scientifica?

Giorello: Io non riesco bene a capire che cosa s’intenda per verità assoluta.
Io credo che abbiamo punti di vista sempre più sofisticati e raffinati che si confrontano. Se questi punti di vista arrivassero all’assolutezza e alla perfezione, non avremmo più la ricerca.
Io credo che la verità assoluta sarebbe quieta e tranquilla come la pace dei cimiteri. Io invece ritengo che noi viviamo proprio per metterci continuamente in discussione.
Quello che ci interessa non è il possesso: è la ricerca.

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 Giorello: Mi presento, sono Giulio Giorello, insegno Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano e normalmente non mi occupo di Fede e ragione, cioè non mi occupo dell’argomento di cui parliamo oggi. Allora come mai ci sono finito dentro? Mi sembra giusto dirlo. Ci sono finito dentro in veste, come dire, di imputato, perché un giorno il mio amico, il teologo Bruno Forte, di Napoli, mi ha coinvolto in un libro che ha scritto per l’editore milanese, Raffaele Cortina, che si intitolava Trinità per atei, cioè come spiegare la Trinità, se mai la Trinità si può spiegare, a gente che non solo non crede nella Trinità, ma non crede forse nemmeno in Dio. E appunto, volendo scrivere un libro Trinità per atei,Bruno aveva bisogno di alcuni atei con cui dialogare. Allora ha beccato Vincenzo Vitiello, Massimo Cacciari e il qui presente. Quindi noi abbiamo fatto un po’ quelli che dovevano dare a Forte le battute, come si fa nelle comiche, dove c’è il comico di base e poi ci sono quelli che gli danno la battutina per poter far successo. E noi ci siamo presi appunto il compito di fare da spalla come si dice in gergo teatrale. Ne è venuto fuori un dialogo molto strano, nel senso che da una parte Bruno Forte ha scoperto che dentro di lui, sotto sotto, covava ogni tanto un piccolo ateo, e forse gli atei hanno scoperto che dopo tutto la religione, o meglio il mondo della fede, gli interessava. Allora la nostra sfida di oggi è di cercare di vedere se riusciamo a interessarci di questo, ancora una volta non scegliendo soltanto i temi generali, ma provando a vedere come anche un tema così diverso dai soliti si può incarnare e realizzare in degli oggetti, per esempio, che hanno avuto una portanza simbolica. Non so, la croce, per esempio, ha una portata simbolica, credo molto forte. Non solo, ma come anche ha mosso la fantasia di artisti, di poeti, di registi cinematografici. Cominciamo con una scheda, in cui vedremo un pochettino come questi temi si realizzano in immagini, forse hanno una presa sul pubblico più forte che il discorso.

……….Si visiona la scheda.

Giorello: Beh quello che abbiamo visto era il montaggio di due film differenti. Uno è il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini e l’altro invece è un musical Jesus Cristh Supestar. Perché li abbiamo messi insieme? Li abbiamo messi insieme perché mettono in contrasto due aspetti della tradizione religiosa a cui noi siamo maggiormente abituati, che è il cristianesimo. Non dico che sia l’unica religione, questo mi sembra evidente, insomma, anche nel nostro paese, però è senza dubbio quella che ha più marcato la nostra civiltà, il nostro modo di pensare, il nostro modo di parlare. E ci sono due aspetti che sono fortemente in contrasto nei due spezzoni, che avete visto. Pasolini insiste sul dolore, sulla sofferenza, sulla tragedia senza sbocco.

Cristo sulla croce è un uomo che muore e la tragedia è senza soluzione. Cioè il dolore e l’insulto restano fortemente espressi anche dalla figura della madre piangente. E’ un cristianesimo senza speranza, un cristianesimo del dolore, ed è tragico. L’altro invece è un cristianesimo che canta quello che è uno dei momenti di vittoria. “Tuoi sono il potere e la gloria”. E’ un cristianesimo, se volete, un po’ più protestante, un po’ più americano. Allora c’è questo tema che è continuamente giocato, nel cristianesimo: da una parte Cristo è Dio che si fa uomo, come uomo soffre e conosce la tragedia finale, la morte. D’altra parte però c’è invece il Dio trionfatore.

STUDENTESSA: Volevo sapere se la fede condiziona, se pone dei limiti alla ricerca scientifica, e, in caso affermativo, in che modo?

Giorello: Io non lo so se la fede porti limiti alla ricerca scientifica. La fede è un dono che l’individuo riceve. Ci sono scienziati credenti, ci sono scienziati non credenti, ci sono atei, ci sono agnostici, ci sono cristiani, musulmani, eccetera. E’ vera una cosa, che, quando l’istituzione ecclesiastica è diventata un potere, in alcuni contesti questo potere ha di fatto ostacolato la crescita della scoperta scientifica. E questo soprattutto nella nostra storia. Noi conosciamo il grande scontro, per esempio, sulle ipotesi che stanno alla base del nostro universo, sui meccanismi del nostro universo, e sappiamo benissimo che Galileo Galilei fu condannato, nel 1633. Galileo era uomo di fede, però fu condannato lo stesso.

STUDENTESSA: Come Tommaso, nella elaborazione della sua filosofia, aveva comunque adottato il metodo della conciliazione tra il naturalismo averroista e il misticismo francescano, secondo Lei, oggi è possibile, in una società come la nostra, dove i radicalismi sono così forti, cercare di conciliare appunto fede e ragione?

Giorello: Ma intanto gli averroisti nel mondo dell’Islam ebbero i loro problemi. Averroé ebbe le sue grane molto forti con i teologi più oltranzisti. Anche i francescani ebbero i loro problemi, perché un certo tipo di spiritualità francescana fu represso pesantemente, la spaccatura tra conventuali, più pronti al compromesso con Roma, e gli spirituali. Quindi francescani e averroisti hanno già una storia tormentata. Oggi credo che questa storia sia più tormentata che mai, non tanto, di nuovo, io penso, per questioni di fede contro ragione, ma per questioni di istituzioni. Le Chiese sono grandi istituzioni politiche e anche la ricerca scientifica è una grande istituzione ormai. Questa situazione oggi non è più nelle condizioni di Galileo Galilei, non deve lottare per i propri spazi. I propri spazi li ha già, ha già la propria egemonia, sulla stessa nostra vita quotidiana. Noi pensiamo a noi stessi in termini scientifici. Quando pensiamo ad esempio il nostro corpo, lo pensiamo in termini medici. Quando pensiamo alla nostra mente, la pensiamo magari come se fosse un computer, in termini informatici. Ora, di fronte a questo potere della scienza, la Chiesa ha fatto secondo me, un forte arretramento. Fino a quanto dura questo arretramento e che tipo di problemi morali verranno fuori? Questa credo che sia una delle grandi sfide del terzo millennio. Una sfida aperta.

STUDENTESSA: Ma, se esiste una differenza fra fede e dottrina, quale delle due entra più spesso in relazione con la scienza?

Giorello: Ma sa, la dottrina è un insieme di frasi, di teorie, e quindi questa sicuramente, secondo me, rischia di più di entrare in conflitto con l’impresa scientifica. La fede, io insito, è per chi ce l’ha – io non ce l’ho -, ma per chi ce l’ha credo che sia un grande dono. E un dono non entra in conflitto con niente. Non entra in conflitto con la matematica, con la fisica e nemmeno con la filosofia, insomma. E’ un grande dono. Il problema è che invece la dottrina no. La dottrina vuol dire come è fatto il mondo, insomma, oppure vuol dire come dobbiamo comportarci. Questi sono modi di vedere il mondo e modi di comportarsi, che non sono d’accordo con quella dottrina. Credo che ce ne rendiamo conto insomma, in qualunque campo della nostra vita, da quello politico alla sfera sessuale, insomma.

STUDENTESSA: Scusi, Lei ci ha detto che non ha fede. Ma ne ha avuta? Quindi può immaginare cosa prova chi ha fede, quindi?

Giorello: Questa è una bella domanda, anche molto inquietante, La ringrazio per averla fatta. Io non so se ho avuto una fede da ragazzo, perché quello che uno riceve per tradizione è una fede implicita, è una qualche cosa che è quasi un’abitudine. Credo di non avere fede adesso, non so se l’avrò in futuro, perché nessuno può ipotecare il futuro. Ho preferito definirmi in quel libro con Bruno Forte, ateo e non agnostico, cioè non uno che non sa, ma da uno dall’altra parte, perché mi sembrava troppo facile dire: “Sono agnostico e me ne lavo le mai”. So benissimo che l’ateismo può essere anche questo, una fede. Quello però non lo vivrei come fede, se mai lo vivrei come domande. Cioè evidentemente chi non ha la fede si pone lo stesso delle domande e non sa trovare la risposta e non smette di domandare. Questo non è una condizione felice, ma non è detto che siamo nati per esser felici insomma.

STUDENTE: Lei può dare una spiegazione a quei tanti giovani che oggi si allontanano dalla fede e quindi magari hanno un atteggiamento molto, diciamo, contrariato verso la Chiesa e verso le istituzioni ecclesiastiche in genere, ma, in particolare verso le religioni. Quindi c’è un allontanamento dei giovani? Lei ha una spiegazione a questo proposito?

Giorello: No, non del tutto. Nel senso che tu mi chiedi perché i giovani si allontanino dalla fede. Io non so se si allontanano di più i giovani o i vecchi. Se questo allontanamento sia per un problema profondo dentro di sé o semplicemente per una certa insofferenza nei confronti delle istituzioni, delle Chiese costituite. In molti casi alle religioni tradizioni si contrappongono delle forme di religiosità, non meglio definite, le tendenze new age cosiddette. Di nuovo io non ho una risposta da darti precisa. Credo che la religione, come legame forte, sia in molti casi entrata in crisi. Ritengo che l’inizio di questa crisi però sia molto antica, che forse si accosta sul Cristianesimo. E’ con la stessa figura di Cristo che la religione entra in crisi, perché Cristo pone la divinità direttamente dentro la natura e la storia. Io ho scelto tra i vari oggetti questo qui che rappresenta una croce irlandese, una delle croci celtiche, perché mi sembra emblematica di come, nel ciclo della natura, coi suoi ritmi, colle sue regole, coi suoi modi propri di sviluppo, si inserisca invece, come una partizione netta dello spazio del tempo, l’evento cristiano. E’ una grande sfida questa. Il Cristianesimo ci porta Dio su questa terra, lo fa protagonista di un processo storico ben definito, in un’epoca che è ben precisa, e poi dà all’umanità il compito di vedere, di verificare in un qualche modo questo atto d’amore, che è poi l’incarnazione. Qui è il problema, ma di fondo: è stato vinto o è stato sconfitto il Cristianesimo? Un teologo, che è recentemente scomparso, che era anche un grande e caro amico, Sergio Quinzio, riteneva che il Cristianesimo fosse stato sconfitto. Aveva scritto proprio un libro dedicato alla sconfitta del Cristianesimo. Io vorrei che voi sentiste insieme cosa ne pensava Quinzio e vedere se siamo d’accordo o meno.

-Si ascolta il pensiero di Quinzio, sotto forma di intervista:

INTERVISTATORE: Nel libro intitolato La sconfitta di Dio, Lei ricostruisce la storia biblica come una successione di sconfitte e di fallimenti subiti da un Dio debole, impotente di fronte al male e fin dalle origini minacciato. Nella cabala si dice che la stessa creazione non è una manifestazione di potenza, ma un contrarsi di Dio, che si autolimita per far posto al mondo. Sergio Quinzio vuole ripercorrere brevemente questa storia di sconfitte, che inizia con la creazione, si prolunga nella crocifissione e culmina nella tragedia di Auschwitz, espressione suprema dell’impotenza di Dio?

QUINZIO: Certo. Ma indubbiamente la creazione implica una perdita di potere assoluto di Dio, perché evidentemente se Dio crea l’uomo libero, in qualche modo si espone al rischio di un uomo che disobbedisca alla sua legge. Quindi creando si apre – non è che necessariamente si compie il male -, ma si apre una possibilità che il male si compia, perché evidentemente si può disubbidire alla legge di Dio, quindi può entrare il peccato, può entrare la colpa, può entrare l’ingiustizia, può entrare la morte. Quindi, ad ogni modo, questo, questo atto iniziale del creare è già un atto attraverso il quale Dio nega in parte la sua onnipotenza. La nega anche in altri modi, perché, per esempio, si apre la possibilità di una richiesta da parte dell’uomo. L’uomo lo prega e in qualche modo, secondo tutta la tradizione ebraica, la preghiera ha il potere di modificare il decreto di Dio, Dio aveva disposto una cosa, ma l’uomo lo prega e Dio cancella il suo decreto. Quindi ecco che Dio in qualche modo ha una certa impotenza, una certa che, non si è saputo il termine paolino, un certo abbassamento, un certo annichilimento, che comincia già nel momento, nel momento della creazione.

STUDENTE: Io volevo chiederLe se, a differenza col mondo cristiano, nell’Islam vi è un certo rapporto che condiziona l’agire delle persone, tra fede e ragione, in quanto sappiamo che comunque le leggi della religione islamica condizionano il modo di agire e di pensare dell’individuo credente!

Giorello: Sì, io non sono un esperto dell’Islam. La mia sensazione è che nel santo Corano e nella stessa tradizione islamica ci sia un accento molto forte sull’importanza della conoscenza. La conquista della conoscenza – e non soltanto la conoscenza religiosa – è addirittura un elemento di giustizia politica. Questo mi sembra un elemento importantissimo. E’ forse questa la ragione per cui l’Islam ha conosciuto dei contrasti religiosi molto forti – quello che tu dicevi prima, che poi diventa anche codice di comportamento e di diritto -, dei contrasti molto forti da cui il mondo islamico è ancora tutt’oggi travagliato, però non ha mai conosciuto, per esempio, un caso Galileo. Non c’è un caso Galileo dell’Islam. C’è una fiorente scienza nell’Islam, che dura per secoli, che non è soltanto acquisizione di patrimonio greco o di tendenze che vengono dall’Oriente, dall’India o dalla Cina, ma è una rielaborazione originale, spregiudicata, coraggiosa, che in molti casi anticipa in maniera chiarissima quella che sarà poi la rivoluzione scientifica di Galileo, di cui parlavamo prima. Quindi è un terreno, devo dire, di un’esperienza per molti versi diversa da quella del Cristianesimo; per quanto ne so io, però.

STUDENTESSA: Scusi. Il fatto che non ci sia un caso Galilei è dato dal fatto che la fede è più forte nell’Islam o al fatto che la dottrina è più forte sul pensiero di coloro che seguono la religione dell’Islam?

Giorello: Ma io direi che forse sta nel fatto che la dottrina è molto più libera, più flessibile. Cioè, mentre curiosamente il codice morale e giuridico è estremamente forte – il codice morale e giuridico -, molto meno si impegna su come è fatto il mondo. Come è fatto il mondo non viene raccontato dalle parole del Corano, è lasciato alla libera indagine di coloro che amano il sapere, cioè dei filosofi o, noi diremmo oggi, degli scienziati. In questo senso forse si possono trovare degli spazi che a noi sono molto chiusi, ma per altri versi, intellettualmente sono molto aperti.

STUDENTESSA: Quindi gli interventi anche del Papa sulla bioetica fermano quello che è lo sviluppo nel mondo occidentale di queste scienze?

Giorello: Ma credo che il Papa sia una grande autorità nel mondo cristiano, che abbia un prestigio anche al di fuori da quello che è lo stretto mondo cattolico e che quindi una presa di posizione del Papa, autorevole nel bene o nel male, possa avere delle enormi conseguenze, tenendo però conto di una cosa, che oggi – quello che dicevo prima – la impresa scientifica non è nelle condizioni di Galileo o di Newton, è una comunità estremamente strutturata, legata a forti interessi industriali, con un potere notevole e un prestigio notevole, perché la scienza degli ultimi tre secoli è passata di successo in successo, anche in successi di cui noi magari abbiamo paura. Esempio: l’energia atomica o piuttosto le biotecnologie.

STUDENTESSA: Scusi, nella scheda, nel filmato, si è parlato di un Dio impotente, di un Dio, diciamo, sconfitto. Perché tra le varie tragedie umane, quindi che sono emblema di questa sconfitta, diciamo, divina, c’è Auschwitz. Cioè perché, in particolare?

Giorello: Direi intanto perché Auschwitz è l’espressione più sistematica dello sterminio. Io non tradurrei scioà con olocausto, io tradurrei con sterminio, in maniera molto più forte. E appunto, dov’è il tuo Dio, in questo momento che sei solo di fronte gli sterminatori? Forse è scomparso, forse ha lasciato i suoi giusti, forse si è ritirato in qualche piega dello spazio-tempo newtoniano e non guarda più quello che succede su questa terra? E’ proprio il punto finale di quel processo, di cui parlava Sergio Quinzio prima. La libertà lasciata, non soltanto agli uomini, ma all’intero creato, fa sì che questa vada per conto proprio. E Dio appunto si ritira in un recesso sempre più lontano e inaccessibile.

STUDENTESSA: Quindi praticamente il male è la negazione dell’onnipotenza divina?

Giorello: Ma guardi, qui sul male e negazione dell’onnipotenza divina, sa si sono rotta la testa molti grandi teologi. C’è chi sosteneva, con molta coerenza, che Dio resta onnipotente, anche di fronte alla sua creazione. La sua creazione è semplicemente qualche cosa che dipende totalmente dalla volontà di Dio, che ha già predestinato ogni destino, anche il tuo, che mi fai questa domanda, e il mio, che ti dò questa risposta. Calvino ha avuto – intendo Giovanni Calvinio, beninteso, il grande riformatore di Ginevra -, ha avuto questa posizione, una posizione molto curiosa anche, molto difficile, perché sembra negare totalmente la libertà dell’uomo. Ci fa forse dei burattini, di fronte a Dio? Oppure, Dio vuole che l’uomo peccasse a cominciare da Adamo? Lo ha preordinato che peccasse. Come diceva un teologo protestante: “Che orribile mistero questo, della predestinazione”. Ma che strana la situazione: i calvinisti, che sembrano così acquiescenti alla volontà di Dio, sono stati quelli che poi, politicamente, sono stati tra i ribelli più coraggiosi nell’affermare diritti e libertà ed economicamente dei grandi imprenditori che hanno lanciato la libera iniziativa. Prendiamo l’oggettino – oggettino mica tanto, un oggettone -: questo è un pastorale, pastorale. Voi non so se avete mai visto lo stemma della città di Basilea. La città di Basilea, una città della Svizzera, ha un pastorale spezzato. Si fece questo stemma quando gli evangelici, ribelli all’autorità del vescovo, che rispondeva a Roma, volendo cambiare i costumi e i riti, cioè fare quella che poi si è chiamata la Riforma Protestante, per convincere il vescovo ad andarsene, gli spezzarono il pastorale sulla schiena. Questa è l’origine appunto dello stemma di Basilea. Adesso il pastorale non lo spezziamo sulla schiena a nessuno, perché farebbe pure male, è anche di metallo. Però questo vuol dire una cosa, come diceva un filosofo protestante, nell’Inghilterra del primo Seicento: i cattolici credono nel libero arbitrio, però si inginocchiano di fronte al re, noi protestanti non crediamo nel libero arbitrio, però ci alziamo in piedi e sappiamo lottare per i nostri diritti. Sta tra voi scegliere con chi volete stare, naturalmente.

STUDENTESSA: Scusi, volevo sapere: l’ateo rifiuta di far parte di una comunità, rifiuta certe dottrine, ma allora come si pone al mondo l’ateo?

Giorello: Ma io intanto non direi che un ateo si rifiuti di far parte di una comunità.

STUDENTESSA: Sì comunque rifiuta una comunità religiosa, non si riconosce più…

Giorello: Non rifiuta. Non si riconosce nella comunità religiosa, ma si può riconoscere in mille altre comunità: in una società sportiva, in un partito politico. Ha una convivenza di cittadino organizzato in uno stato, in una unione di stati, come cittadino dell’umanità, come si può riconoscere chi è musulmano, cattolico, ebreo, protestante e via di seguito. Certo non farà parte della comunità dei credenti o di coloro che seguono un particolare insieme di regole rituali. Ma questo è un problema di chi? E’ un problema dell’ateo? Forse è un problema di chi vuole imporre queste regole a tutta quanta la società, in un programma che si chiama appunto integralista. L’ateo non ha buona vita in un mondo integralista, lotta qualche volta perché un mondo integralista abbassi le sue pretese e si realizzi un mondo un po’ più libero. Oliver Cromwell, che non era un ateo, perché era un puritano, quindi un calvinista di quelli piuttosto decisi, quando gli vennero a dire che un suo sottoposto aveva delle strane idee in materia di religione, era un anabattista, di quelli che pensavano che per salvarsi bisognava battezzarsi o ribattezzarsi da adulti, rispose: “Ma a me non interessa se questo signore è o no un anabattista. Serve bene lo Stato, combatte bene nel nostro esercito e allora da questo punto di vista può far parte benissimo della nostra comunità”, che, in quel caso, era quella sorta di democrazia in armi, che si chiama democrazia di nuovo modello, che riuscì a imporre in Inghilterra, quello che finora è l’unico esempio repubblicano, che quel paese ha avuto nella sua storia.

STUDENTE: Senta se Dio ha concesso la libertà all’uomo, come si spiega il concetto di provvidenza o volontà di Dio, relativa al mondo?

Giorello: Sa dovrebbe chiederlo al mio amico, don Bruno Forte, che ci crede alla Provvidenza, non a me che non ci credo, insomma. Io sono più portato a dar ragione a Quinzio. Se c’è libertà radicale dell’uomo e forse addirittura c’è autonomia nel processo naturale dell’intera natura rispetto al disegno del Signore, questo disegno corre per lo meno il rischio di essere sconfitto. Ma se corre il rischio di essere sconfitto, magari di fatto è sconfitto. Questa è poi la sfida che poneva Quinzio in quell’intervento. Quindi io devo dire che mi resta sempre un po’ oscura la nozione di Provvidenza, alla Manzoni. Certo c’è la Provvidenza, perché alla fine del romanzo Renzo e Lucia si sposano e abbiamo l’happy end. Peccato che siano morti qualche migliaio di persone, nella guerra dei Trenta anni, per non dire delle vittime della peste, eccetera, eccetera, eccetera. Saran stati mica tutti Don Rodrigo quelli che son morti nella peste. Allora, se anche questa Provvidenza c’è, è così al di là della nostra mente, forse le nostre menti finite non la colgono nei suoi disegni profondi, che forse tanto vale restare nel finito e porsi di fronte a quello che non funziona, al dolore, alla sofferenza in atteggiamento puramente laico, di collaborazione anche con chi, chi è credente. Un po’ come l’ufficiale di Cromwell, l’importante era poi come si comportava.

STUDENTE: Io, ritornando al discorso di prima, siccome Lei ha detto che la fede è un dono, volevo sapere se Lei pensa che il credente, il fedele abbia qualcosa in più rispetto l’ateo, e se questo qualcosa sia da invidiare.

Giorello: Sa che i doni son sempre ambigui. Nella grande tradizione antropologica noi sappiamo che un dono può essere anche un peso. Chiacchierando appunto con Bruno Forte, l’impressione che ho avuto è che anche questo dono può essere molto difficile da portare e quindi è schematica l’idea di un credente soddisfatto e di un ateo insoddisfatto. Il mio amico Bruno Forte dice una frase molto bella: che ogni ateo ha dentro un piccolo germoglio, che si pone le domande del credente e ogni credente però ha un ateo che ogni tanto cerca di corrodere questa fede. Credo che in nessuno dei due casi dobbiamo pensare a delle indissolubili ed inossidabili certezze. Ecco, non sono certezze d’acciaio. Son passati questi tempi. Non penso a degli atei che creano una religione di Stato, in cui mettono i credenti tutti in campi di concentramento e non penso che tutti i credenti, tutti i cattolici, visto che siamo in un paese cattolico, complottino per rimettere in piedi la Santa Inquisizione. Credo che queste siano visioni storiche un po’ superate. Credo che questo sia un po’ il tempo del logos, del logo, come dice il Vangelo di Giovanni, e quindi del di-a-logos, del dialogo tra gli uni e gli altri.

STUDENTESSA: Io volevo dire che, secondo me, la fede non è un dono, ma bensì una scelta di vita. E poi secondo me non è vero che in ogni credente c’è un ateo, che è lì nell’angolino e ogni tanto esce. Sono dei dubbi che, diciamo così, assalgono qualsiasi persona umana, sono, diciamo così, dubbi umani che si pongono a seconda della società in cui un uomo vive, quindi sono giusti.

Giorello: Beh, se lei vuol dire che invece di un piccolo ateo ci sono tanti dubbi, non è che una differenza verbale.

STUDENTESSA: E’ un po’ diverso.

Giorello: Se invece lei vuol dire che non si ha il diritto di dubitare, beh, questo è piuttosto una cosa un po’ minacciosa. Infine che uno possa scegliere la fede, beato chi riesce a sceglierla, insomma. Io sono su questo un po’ calvinista, penso che la fede sia un dono dell’Onnipotente, non una scelta umana. Questa è questione di gusti, insomma.

STUDENTESSA: Allora, nel Medioevo abbiamo visto la supremazia dell’auctoritas, cioè un po’ quindi la subordinazione della fede alla ragione. Ora, secondo Lei, qual è quell’evento storico che segna proprio la nascita dell’incompatibilità fra fede e ragione?

Giorello: Ma io, come dicevo, non è che penso tanto a una incompatibilità di fede e ragione, quanto a una fine della pretesa del monopolio della verità. Che è una cosa diversa. Ora, secondo me, una delle grandi crisi, ma crisi di crescita, che segnano la modernità, cioè è proprio la Riforma Protestante, in cui, da motivazioni religiose, cristiane, fortemente cristiane, viene messa in discussione la supremazia di Roma. Certamente non erano dei liberi pensatori né Lutero né Calvino, ma hanno fatto sì che molto dello spirito critico partisse proprio dalla loro coraggiosa rivolta del monopolio della verità. Poi ne volevano uno per conto loro, naturalmente.

STUDENTESSA: Come si mostrano le persone che, come Lei, non hanno fede davanti ad alcuni fenomeni come i miracoli, che, diciamo, adesso sono gli elementi portanti appunto della fede?

Giorello: Sa cosa diceva David Hume “Un garbato scetticismo”. Cioè noi rispettiamo manifestazioni che non spieghiamo, giustamente, ci son molte cose a questo mondo che non spieghiamo, non deridiamo le persone che ci credono, ma, come dire, non è che ci lasciamo convincere. Hume dice: “Un garbato scetticismo”, che non è uno scetticismo aggressivo.

STUDENTESSA: Lei ha detto che è ateo e quindi non crede in un, diciamo, in un essere irrazionale. Io personalmente, va bene, sto attraversando un periodo di crisi, perché, come penso molti ragazzi alla mia età, non so, diciamo, non so precisamente a cosa credere, cioè se esiste questa forza irrazionale, questo essere irrazionale o al contrario. Però quello che io volevo chiederLe, tutti nella vita, insomma a tutti capita di avere momenti difficili e quindi di avere, di provare dei forti dolori. Però magari il credente in quel momento dice: “Dio aiutami”, e quindi magari riesce a darsi un conforto, riesce a pregare e quindi a darsi una spiegazione. Ma l’ateo cioè è più forte del credente, riesce a superare di più le situazioni, senza chiedere aiuto a un essere, insomma, più forte?

Giorello: Secondo me un po’ in tutto quello che abbiamo detto viene fuori l’idea che vale l’antico detto che è bene contare sulle proprie forze nei momenti drammatici, questo sia che uno sia un credente…

STUDENTESSA: Beh, però non tutti sono così forti da riuscirci.

Giorello: Beh, ci si tenta. L’importante è provarci, insomma. L’importante, sa com’è, non è vincere, ma gareggiare, come diceva quell’altro. Allora proviamo a gareggiare contro le avversità, il dolore, le tristezze, le paure e riusciamo forse ad avere, se siamo credenti, una fede più forte, che non sia semplicemente una consolazione delle proprie paure, e se non siamo credenti, a guardarci in faccia lo stesso con gli occhi alti, insomma, senza guardare a terra. E ricordiamoci, visto che abbiam parlato della tradizione soprattutto cristiana, anche se non solo della tradizione cristiana, che nel cristianesimo antico non c’è solo la immagine del Cristo dolorante inchiodato sulla croce, ci sono anche delle espressioni metaforiche, che sono allo stesso tempo di forza e debolezza. Una di queste è la Fenicie. La Fenicie è il grande uccello d’Arabia, che forma il suo Dio nel fuoco e viene distrutta dal fuoco e sempre rinasce. Io credo che avesse ragione un filosofo contemporaneo che diceva che Cristo è un po’ come la Fenicie, fa il nido nel fuoco che la distrugge. Ecco noi dovremmo cercare di sforzarci tutti di essere un po’ come le Fenice, di fronte ai dolori, alle paure, alle passioni. E appunto in questo senso credo che il messaggio di Cristo valga sia per i credenti che per gli atei.

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Cartesio: cogito ergo sum http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/cartesio-cogito-ergo-sum/ http://shabang.xoom.it/wordpress/pensiero-intransigente/cartesio-cogito-ergo-sum/#comments Fri, 18 May 2012 17:08:48 +0000 shabang http://shabang.xoom.it/wordpress/?p=169 ↓ Read the rest of this entry...]]> La locuzione cogito ergo sum (lett. “Penso quindi esisto”) è l’espressione con cui Cartesio (Principia philosophiae 1, 7 e 10) esprime la certezza indubitabile che l’uomo ha di sé stesso in quanto soggetto pensante.

La filosofia di Cartesio è incentrata sulla ricerca di un metodo che dia la possibilità all’uomo di distinguere il vero dal falso, non soltanto per un fine strettamente speculativo, ma anche in vista di un’applicazione pratica nella vita. Per scoprire tale metodo, il filosofo francese adotta un procedimento di critica totale della conoscenza, il cosiddetto dubbio metodico, consistente nel mettere in dubbio ogni affermazione, ritenendola almeno inizialmente falsa, nel tentativo di scoprire dei principi ultimi o delle massime che risultino invece indubitabili e su cui basare poi tutta la conoscenza.

Cartesio sostiene che nemmeno le scienze matematiche, apparentemente certe, possono sottrarsi a tale scetticismo metodologico: non avendo una conoscenza precisa e sicura della nostra origine e del mondo che ci circonda, si può ipotizzare l’esistenza di un “genio maligno” che continuamente ci inganni su tutto, anche su di esse. Si giunge così al dubbio iperbolico, estremizzazione limite del dubbio metodico.

A prima vista, quindi, per l’uomo non c’è alcuna certezza. Eppure, quand’anche il “genio maligno” ingannasse l’uomo su tutto, non può impedire che, per essere ingannato, l’uomo deve esistere in qualche modo. Non è certo detto che l’uomo esista come corpo materiale, perché egli non sa ancora nulla della materia. Ma l’uomo è sicuro di esistere in quanto è un soggetto che dubita, cioè che pensa.

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