Il problema dell’immigrazione viene sempre affrontato dal punto di vista economico. Si dice, a ragione, che l’immigrazione verso i paesi ricchi è l’effetto visibile della povertà di quelli poveri. In generale quando la fame diventa insopportabile fino ad uccidere milioni di persone, è inevitabile che, prima o poi, gli affamati cerchino di reagire e tentino di ditruggere chi non consente loro di mangiare. La conflittualità planetaria si è trasferita dall’asse Est-Ovest, gli anni della ‘guerra fredda’ tra USA – i ricchi- e l’URSS – i proletari -, all’asse Nord-Sud, in cui i popoli islamici sono alla testa dell’emancipazione dei poveri.

La richiesta di partecipazione all’economia globale da parte dei paesi poveri ha creato la cosiddetta ‘globalizzazione’, cioè l’estensione all’intero pianeta delle tecniche capitaliste della produzione di beni e del ‘mercato’ per la loro  vendita. In questo processo il capitalismo ha utilizzato il progresso tecnologico, da lui stesso creato, per generare un incremento del profitto, che ha stimolato i paesi poveri e li ha resi consapevoli che solo la padronanza della tecnica può consentir loro di risollevarsi.

Intanto le giovani generazioni sono costrette ad emigrare verso i paesi ‘ricchi’  e, una volta acquisite le necessarie conoscenze, ritorneranno nei loro paesi d’origine per applicare ciò che hanno imparato.

Riusciranno nel loro intento? Sapranno migliorare le loro società aumentandone il grado di libertà e di giustizia? Queste sono le sfide dei nuovi emigranti.

 

 

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