Giulio Girello ha scritto:

Nel poscritto alla Logica della scoperta scientifica, una delle opere più impegnative di Popper, viene evocata la storia di quel soldato che un giorno scoprì che tutto il suo battaglione, a parte lui naturalmente, non marciava al passo. Popper ha molta simpatia per questo soldato che è l’unico che marcia al passo, e quindi l’unico nel giusto, mentre tutti gli altri sono in disordine e confusione. Questa storiella raccontata da Popper è un elogio, portato all’eccesso, del dissenso: uno solo contro tutti può lo stesso avere ragione.

Se vogliamo trasferirla in campo scientifico, la battuta di Popper suona più o meno così: non vale l’argomento che uno può avere torto contro la scienza intera, perché potrebbe essere la scienza intera ad avere torto, e quell’uno avere ragione. C’è forse una sfumatura di orgoglio di cittadino in questa posizione, cioè l’idea che tutti quanti possano aver sbagliato, dagli antichi ai nostri contemporanei e io solo essere nel giusto. Questo è un principio che come vedremo è fortemente destabilizzante. Tuttavia questo è un principio che ha la sua importanza nella crescita della conoscenza scientifica: che i pochi possano avere ragione contro i molti, o che addirittura uno possa essere in disaccordo contro tutti gli altri, e pure avere ragione.

Se vogliamo risalire più indietro di Popper, vi ricordo quel passo del Saggiatore di Galileo Galilei in cui dice che l’argomento del consenso nell’impresa scientifica non è un elemento probante, e soprattutto nulla equivale mai all’audacia e all’ingegno del singolo. Galilei dice anche che nella filosofia naturale – la scienza – noi non siamo come i cavalli olandesi (da tiro) ma come i cavalli berberi, che eccellono singolarmente contro tutti gli altri. Quindi nella scienza è l’eccellenza del singolo che va premiata, il coraggio appassionato con cui difende le proprie teorie.

Questa posizione sembrerebbe a prima vista individualistica e perfettamente conciliabile con un credo liberale portato all’eccesso. Molto meno con una concezione democratica, perché ci fa pensare che la scienza non sia democratica e che l’impresa scientifica possa procedere in maniera produttiva e costruttiva laddove uno solo si erge contro tutti. Valga come esempio proprio il caso di Galileo Galilei che da solo introduce, nel 1610, nuovi modi di osservazione, e sfida, nel 1613, la comunità scientifica sulla natura delle macchie solari. Egli teorizza, contro l’establishment del suo tempo, che la matematica si applica allo studio dei corpi circostanti (Il Saggiatore, 1623); difende Copernico contro i suoi detrattori tolemaici e aristotelici nel 1632, e infine rifonda la meccanica e la scienza dei materiali nel 1638. E non c’è una di queste conquiste di Galileo Galilei che non sia avvenuta con un contrasto profondo contro la maggioranza delle persone che rappresentavano allora la repubblica delle lettere, diremmo oggi la ricerca scientifica.

Questo elogio di Galileo è abbastanza familiare a Popper stesso, che vede nel dissenso un elemento fondante della nostra stessa tradizione moderna. Direi non l’unico, ma senza dubbio un elemento molto forte, che va di pari passo con il bisogno di dare spazio al libero individuo che critica apertamente il battaglione con cui non si trova al passo. Sono elementi che si trovano in alcuni scritti degli anni Cinquanta, poi pubblicati in Congetture e confutazioni e nella migliore tradizione della Riforma protestante. L’appello alla coscienza individuale di Lutero e di Calvino, a “mezza bocca”, poi in altri riformatori detto in modo più aperto e coraggioso che fa sì che l’arbitro diventi la coscienza e non l’istituzione.

Naturalmente Popper non rappresenta soltanto questa matrice del pensiero dell’esperienza cristiana e religiosa, anche se è un punto di riferimento importante per un autore, in generale poco sensibile come Popper alla dimensione religiosa dell’esistenza. Tuttavia, una precedente scuola di dissenso era stata già sperimentata in Occidente, molti secoli prima della Riforma: sei-sette secoli prima della venuta di Cristo, in una piccola regione dell’Asia Minore, nota come Ionia. Qui fiorisce una scuola di filosofi per la quale la critica non è maledizione, ma per la quale lo scontro intellettuale è fattivo di nuove idee, e colui che la pensa diversamente dal maestro è un nuovo maestro, non è un traditore del maestro originario. Questa è la scuola del pensiero presocratico: Talete, Anassimandro, personaggi che criticano e migliorano il predecessore, per aver più amica la verità di coloro che li hanno iniziati alla riflessione filosofica. E’ questo miracolo greco che Popper ha in mente, oltre all’esperienza storica della Riforma protestante. Lo dice molto chiaramente in un capitolo di Congetture e confutazioni in cui, appunto, da Talete ai giorni nostri la tradizione è quella della libera discussione critica.

Ai tempi di Cromwell, in Inghilterra, si diceva che il dibattito tra le varie sette religiose doveva essere by words and not by swords (e cioè: con la parola e non con la spada): queste sono le matrici culturali, in una tradizione che si può chiamare in senso lato umanistica di richiamo alla cultura greca. Dall’altra parte, le esperienze anche laceranti della modernità europea (la Riforma protestante e le guerre di religione) portano a quel diffuso clima illuministico che favorisce la libera discussione critica contro l’autoritarismo. Questo elogio della libera critica e dell’impresa scientifica, così fattivo e fecondo, appare strettamente legato alla capacità individuale, a prima vista assai poco democratica, anche perché consenso in molti casi può significare fenomeno di conformismo. E il conformismo è temuto come la morte da Karl Popper: molto meglio la torre di Babele; se non ci fosse stata bisognava inventarla.

Questo atteggiamento si ritrova in non pochi grandi rappresentanti dell’impresa scientifica e in particolare in tutti coloro i quali con l’autorità hanno incrociato il loro ferro, come Galileo Galilei. Questo riferimento alla critica sembra dar adito a una forma di esasperato individualismo. Tuttavia in Galileo troviamo anche un correttivo a quella che sembra essere una posizione così fortemente individualistica: nel 1632, in quel Dialogo sopra i massimi sistemi che gli costò la condanna dell’Inquisizione, fa dire a Simplicio, che rappresenta il punto di vista dei conservatori, che questo modo di filosofare – allude a quello di Galileo – tende alla sovversione di tutta la filosofia naturale e a disordinare il cielo, la terra e tutto l’universo. La risposta di Salviati: “Non vi pigliate pensiero né del cielo né della terra, né temiate la loro sovversione e nemmeno della filosofia. La filosofia non può se non ricevere beneficio dalle nostre dispute, perché se i nostri pensieri saranno veri, nuovi acquisti saranno fatti, se falsi, col rigettarli maggiormente verranno confermate le prime dottrine”.

Questo punto mette in luce come il dissenso è solo il primo passo per un’articolazione della critica, che consiste nel far confrontare diverse opinioni nel portare i pro e i contro, e il punto interessante consiste nel fatto che non c’è più un solo soldato che non marcia al passo e il battaglione è in errore, ma ci sono almeno due soldati che sono in disaccordo su come va tenuto il ritmo della marcia e ciascuno dà opinioni pro e contro e alla fine si vedrà chi ha ragione e chi torto. Quindi, da questo punto di vista, la posizione di Popper non è quella di semplice articolazione del dissenso ma, almeno per quanto riguarda l’impresa scientifica, è quella di un dialogo critico, appunto come sono i dialoghi di Galileo dove vengono portate argomentazioni a favore del copernicanesimo e contro il copernicanesimo in difesa dei punti di vista tradizionali. Alla fine deve essere l’onesto lettore a decidere se stare da una parte o dall’altra. Entrambe le parti ne trarranno giovamento; perché se una parte viene scoperta in errore può rimediare, mentre, se l’altra parte riesce ad avere la vittoria, confermiamo la fiducia di questo quadro concettuale.

Quindi è un elogio della controversia scientifica quello che Galileo propone ed è quello che Popper conosce molto bene ed è disposto a sottoscrivere. La controversia scientifica diventa motore della crescita della conoscenza. Si tratta di mettere le cose in modo che l’errore possa emergere. Anzi, se una teoria non è passibile di essere mostrata falsa, non fa nemmeno parte della comunità delle teorie considerate scientifiche. Questo è un punto di rovesciamento della tradizione epistemologica classica. Da Cartesio a Kant il punto di fondo è come evitare l’errore; anzi, per Kant il punto di fondo è come mai la gente cade in inganno se noi siamo in qualche modo esseri che sono predisposti alla verità. Il problema di Popper è il contrario di quello di Kant: senza errori non ci avvicineremmo alla verità, il nostro problema è come imparare dai nostri errori. Nel riconoscere la natura fallibile della conoscenza scientifica dobbiamo migliorare i nostri quadri concettuali: così successe quando Galileo criticò i suoi avversari aristotelici, e quando Newton criticò Galileo. Quindi non c’è ragione di pensare che l’impresa scientifica non debba andare avanti così come è andata per secoli, cioè per audaci congetture e la loro falsificazione.

Questa posizione epistemologica, nota come fallibilismo, e che ha oggi molte varianti nel dibattito epistemologico, è sempre stata vista per Popper come una componente morale. Non è che abbia mai cercato di dimostrare matematicamente il fallibilismo, la sua posizione era quella di dirci che se veramente volete giocare al gioco della scienza, dovete accettare la regola di esprimere le vostre teorie in modo che gli altri, o anche voi stessi, siano in grado di cogliervi in fallo. Questo è un punto importante, perché se noi volessimo in qualche modo fondare il fallibilismo, sarebbe curioso cercare un fondamento certo e indubitabile di un atteggiamento mentale che ci invita a considerare tutte le nostre teorie come transitorie e correggibili. Quindi Popper si sarebbe ben guardato dal cercare una dimostrazione del fallibilismo. La scelta del fallibilismo è una questione sostanzialmente etica, è sul terreno della ragionamento plausibile non certo sul terreno della dimostrazione in senso stretto della cogenza. Nessun ci obbliga a giocare al gioco della scienza, possiamo anche non farlo, molte civiltà non l’hanno fatto, hanno guardato alla tradizione critica nata da Talete come una pericolosa eresia, quindi non è affatto inscritto nella natura umana che si debba procedere scientificamente nel senso ipercritico.

C’è un aneddoto molto divertente che la dice lunga. Talete non è solo l’iniziatore della tradizione critica, ma secondo alcuni l’iniziatore della geometria, in particolare con il teorema del fascio di rette parallele tagliato da due rette che riesce a risolvere un problema che attanagliava il faraone egiziano: come misurare l’altezza di una piramide senza salirci sopra. Il faraone dà a Talete un premio in danaro, e un consigliere poco dopo gli si avvicina per dirgli di andarsene, perché i tiranni non amano la geometria. Punto importante che ribadisce Galileo nel Saggiatore, quando dice che chi non bazzica la geometria è costretto ad aggirarsi per oscuri labirinti e di diventare preda delle opinioni altrui, cioè è costretto a seguire l’autorità di altri invece di ragionare di testa propria. La scienza è la nemica dei potenti, i quali se volessero dirci che un triangolo ha gli angoli interni maggiori di 180° lo imporrebbero a coloro che non lo sanno.

Come è una scelta essere critici, lo è anche quella di essere democratici e ci avviciniamo al discorso sulla democrazia da cui avevamo preso le mosse. Anche qui Popper può esserci di aiuto, egli ha dedicato alla democrazia una grandissima opera, La società aperta e i suoi nemici, scritto alla fine della seconda guerra mondiale e poi ripensato negli anni della cosiddetta guerra fredda, in cui quella che Popper chiama open society è la nostra società democratica senza la tradizione egemone che chiude tutto l’orizzonte concettuale, aperta alle innovazioni e al cambiamento attraverso la critica. Quindi questo elogio della critica ci rimanda alla stessa esperienza scientifica di cui abbiamo parlato.

Democrazia è un termine dalle molte sfumature; quella che noi intendiamo come democrazia non è esattamente la democrazia greca di cui parla Pericle, ma i teorici della democrazia moderna hanno voluto applicare questa parentela, e gli storici inglesi dell’Ottocento, che idealizzano Pericle, sono i maestri della filosofia politica di Popper, e quindi ritroviamo un’aria di famiglia. Però democrazia può essere letta in molti modi. Prendiamo la definizione dal dizionario critico di filosofia più corrente, che dice : Democrazia, ovvero stato politico in cui la sovranità appartiene alla totalità dei cittadini senza distinzioni di nascita di ricchezza o di capacità. Popper criticherebbe a questo tipo di definizione la parola sovranità, perché se non concepiamo la democrazia come forma particolare di sovranità non ci sarebbe nessuna difficoltà a pensare che la democrazia decide sovranamente di cancellarsi. Questo è un problema che ha preso Popper da Platone, che lo chiama paradosso della libertà, dice che nelle città libere l’eccesso della libertà provoca poco a poco una sorta di risentimento in alcuni esponenti del mondo politico e alla fine viene fuori o un’oligarchia o un tiranno.

Dunque l’eccesso di libertà porta alla sua negazione. Come successe in Italia nel 1926, una democrazia può benissimo assistere alla nascita di un regime autoritario votato in modo democratico, esperienza che conoscerà anche la Germania nel 1933. Questa critica è assai diffusa alla democrazia rappresentativa degli anni Venti e, se non vado errato, anche nelle considerazioni politiche di Thomas Mann. Anche oggi ci troviamo di fronte a regimi in cui può andare al potere un partito o un gruppo che per prima cosa abolisce la democrazia che gli ha permesso di arrivare al potere. Questo è il paradosso della democrazia (anche se naturalmente si potrebbero mettere al bando gli antidemocratici in modo che non si presentino alle elezioni).

Vi sono dunque delle somiglianze tra il principio del fallibilismo e il principio della democrazia. La risposta di Popper è molto interessante; servirci di questa apparente circolarità, per venirne fuori e non per restarci dentro, e di nuovo questo tipo di circolarità mette in luce la profonda affinità della democrazia con l’impresa scientifica. Come se ne esce fuori? Popper ritiene che bisogna fare due qualificazioni.

Primo punto: che una teoria della politica non è necessariamente una teoria della sovranità politica. Non si deve dire necessariamente come dobbiamo governare ma come dobbiamo difenderci dai governanti, esattamente come l’impresa scientifica, che non ci dice come dobbiamo confermare le nostre teorie, ma come dobbiamo smentirle. Il nostro problema non è di fondare una sovranità o di fondare una teoria, ma è quello invece di criticare le forme di governo esistenti, ed eventualmente difenderci dai governanti. Se noi non concepiamo più la democrazia come una forma di sovranità, l’argomento della circolarità che la democrazia sovranamente può provocare il proprio annullamento non è un’obiezione, come non è un’obiezione essere un monarchico e dire che, per esempio, un re ad un certo punto può abdicare in favore di un Repubblica. Per cui l’errore primo è concepire la filosofia politica come teoria dei fondamenti della sovranità; senza fondamenti anche la democrazia è senza fondamenti e qui sta la sua forza.

Secondo punto: qualificazione della democrazia in positivo è che noi dobbiamo in qualche modo basare la nostra preferenza per la vita democratica sulla decisione di evitare qualsiasi forma di tirannide e di resistervi se si presenta. Per Popper questo fatto ha il vantaggio che non si vincola minimamente alle forme particolari in cui si esercitano le istituzioni democratiche, che strutturano ed esercitano il loro potere con varie regole, come per esempio, ma non sempre, la decisione per maggioranza. Se un giorno per maggioranza la democrazia decide di suicidarsi vuol dire che questa volta abbiamo fallito, non siamo riusciti con i metodi di ingegneria costituzionale abitualmente usati, ma questo non fa venire meno la nostra volontà di resistere alla tirannide.

A questo punto vi renderete conto che il parallelismo tra impresa scientifica e società democratica è esemplarmente ricostruito; una decisione di evitare il dogmatismo, in un senso, e di evitare la tirannide dall’altro. In entrambi i casi quindi si tratta di prendere atto del carattere etico sia della vita scientifica, sia della vita democratica, e, siccome ci siamo affezionati, lottare per essa. Questo è il senso della decisione di resistere alla tirannide, e direi che con questo si ricostruisce anche una profonda unità nel pensiero di Popper che non è stato un filosofo della politica per caso, o un filosofo della scienza prestato alla politica, ma ha orientato coerentemente gran parte della propria riflessione proprio su questi temi, e che appunto ha trovato nell’elemento della difesa del dissenso e nell’elogio della critica l’elemento unitario dell’impresa scientifica e dell’impresa democratica.

Come spesso capita ai pensatori fortemente legati alla tematica della critica, Popper è stato criticato. Ma si tratta di un elemento positivo, perché non ha suscitato approvazioni servili ma critiche estremamente interessanti e stimolanti. Due osservazioni che ci permetteranno di collegare questo tipo di riflessioni a problemi della vita attuale.

La prima riguarda la tecnica, che è stato detto è un grande strumento di modificazione della comunicazione sociale e quindi anche un elemento di forte modificazione della politica (non ci sarebbe stata la Riforma protestante senza la stampa). Non ci sarebbero, forse, alcune forme attuali di democrazia senza Internet,, viceversa ci sono anche casi in cui la tecnica sembra essere fortemente pericolosa e può indurre a un conformismo di massa invece che a uno sviluppo dello spirito critico. E’ il caso della televisione e forse una delle ragioni della più recente popolarità di Popper è stata la posizione estremamente drastica nei confronti della tivvù. Non è stata messo però abbastanza in evidenza l’accento sul discorso generale che Popper faceva, che era primario: la televisione, così com’è praticata, è una variante di tirannide anche quando il magnate della tivvù, attraverso i sondaggi cerca di capire cosa la gente vuole. La gente è “costretta” a scegliere tra un ventaglio di offerte predeterminate da un centro, e quindi non ha la possibilità di farci capire cosa vuole. Soprattutto, diceva Popper, la gente non esiste, come entità collettiva non c’è. Dal punto di vista di individualismo metodologico che Popper ha proposto, la gente non esiste. Sembra una piccola cosa, ma bene evidenzia l’inglese people are (termine singolare e verbo plurale), le persone sono…

La seconda osservazione è già implicita in quello che dicevo prima: che la tivvù si presenta come una forza irresistibile. L’unica cosa che la democrazia non tollera sono le forze irresistibili, come la tirannide (il tiranno esce fuori delle misure). Quindi la opposizione di Popper alla televisione va vista nel quadro della sua opposizione più generale a qualsiasi forma di potere irresistibile. Popper è perfettamente coerente con il suo punto di vista generale, anche in questi ultimi argomenti sulla tivvù. E forse coloro che sono sia a destra che a sinistra, nel nostro Paese, non hanno messo bene in luce la coerenza di fondo con il resto del quadro libertario che Popper presenta.

Siamo poi veramente sicuri che l’impresa scientifica abbia ancora quel respiro critico che Popper le attribuisce guardando ai grandi classici della scienza? Leggo in una prefazione di Riccardo Chiaberge a un libro dedicato alla clonazione: “Agli albori della embriologia, ai tempi di Darwin, gli scienziati sentivano ancora il bisogno di trarre conclusioni filosofiche dalle loro scoperte. Oggi l’imperativo nel mondo della scienza è uno solo: ogni ricercatore si concentra su ogni ovulo che sta manipolando e non guarda più in là. La filosofia è ormai assente dal suo campo visivo e dato che il suo successo accademico dipende dal suo numero di pubblicazioni è invalsa l’usanza di rateizzare il risultato di un esperimento spezzettandola in tanti articoli da scaglionare nell’arco di mesi o di anni, proprio come faceva Dickens quando pubblicava il suo racconto a puntate, solo che qui il valore narrativo è ben più modesto e sovente, come nel caso della fusione fredda, l’uso spregiudicato dei media precede il vaglio critico della comunità scientifica”. Chiaberge, da buon giornalista, fa semplicemente una descrizione dello stato di cose esistenti, ma voi capite bene che una ricerca scientifica in cui si oscilla tra uno specialismo, dove le regole della produttività divorziano da quell’atteggiamento critico, e una presentazione sui media, in cui l’atteggiamento critico è dato per quello che porta di sensazionale, questo tipo di divaricazione porterebbe, dice Chiaberge, a separare democrazia e impresa scientifica, proprio perché quell’elemento che muniva in passato l’atteggiamento critico viene cancellato.

Nel caso della tivvù, con una visione settaria del senso critico; nel caso dello specialismo scientifico, con la perdita del senso critico: è addirittura una condizione per far carriera. Questo è un elemento molto importante : lo storico della scienza Gerry Holdon di cui è stato pubblicato un bel libro su Einstein da Feltrinelli, ha dichiarato che proprio un tipo di divorzio come questo finirebbe per rappresentare la maggiore minaccia che l’America democratica di Jefferson abbia conosciuto fin dal tempo delle baionette britanniche durante la guerra di secessione.

Cosa possiamo dire su queste tematiche alla luce di quanto abbiamo precedente esposto, tenendo conto appunto della lezione popperiana sull’insegnamento critico? Direi che si possono usare le parole di Popper con le quali concludeva un paragrafo della sua Logica : “Il gioco della scienza è il principio senza fine, chi un bel giorno decide che le asserzioni scientifiche non hanno più bisogno di nessun controllo e si possono ritenere definitivamente verificate si è ormai ritirato dal gioco”.

Proviamo a sostituire alla parola scienza la parola democrazia, alle “asserzioni scientifiche” i “governanti” e a “verificato” “provato”. Il gioco della democrazia è di vedere il principio senza la fine. Chi un bel giorno decide che i governanti e i loro atti non hanno più bisogno di un controllo e si possono ritenere approvati in modo definitivo, si ritira dal gioco.

Questo punto ci fa ben capire dove viene meno lo spirito fallibilista che è uno spirito di creatività e di ricerca continua attraverso la critica, da cui è nato il nostro Occidente. “Con l’idolo della certezza crolla una delle difese dell’oscurantismo che ha sbarrato la strada alla crescita della conoscenza, perché la venerazione che noi tributiamo a questo idolo è impedimento non soltanto all’arditezza delle nostre domande, ma anche al ricorso dei nostri controlli. La concezione sbagliata della scienza, cioè il dogmatismo, si tradisce proprio per il suo smodato desiderio di essere l’unica nel giusto, infatti non il possesso della conoscenza e cioè il possesso della verità irrefutabile fa l’uomo di scienza, ma la ricerca critica persistente e inquieta.”

Questa citazione di Popper mette bene in luce l’idea che poi era quella di Galileo: il controllo e il consenso si costruiscono attraverso il dissenso. In questa ottica era importante tener conto delle buone ragioni del soldato che non va al passo con il suo battaglione. Se la vogliamo dire in un altro modo, visto che né la scienza né la democrazia vanno alla ricerca di fondamenti assoluti, potremmo fare nostra questa battuta, che secondo me coglie bene lo spirito democratico: “Se incontri per la tua strada una forza irresistibile opponiti con il doppio della forza, e riuscirai a vincere”. E’ una bellissima frase pronunciata dal compagno Stalin: ogni tanto un pizzico di stalinismo può anche andare bene.

(www.fondazione-einaudi.it/Download/lezione%20Giorello.doc)

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