Intervista con Giulio Giorello (1998)


Intervistatore: Oggi parleremo di cosa si intende per verità in campo scientifico con il professor Giulio Giorello  insegnante di Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano. “Filosofia” è un termine che significa “amore del sapere”. Forse non c’è sapere così importante per noi, così incisivo sulle nostre esistenze, come la scienza.
La verità scientifica, la verità nella matematica, la verità nella fisica, nella chimica, nella biologia e in tutte le discipline normalmente si insegnano anche nella Scuola Media Superiore, ma è l’insegnamento all’Università, con altra veste ed altri aspetti, che te li fanno comprendere e che poi si riprendono nella vita adulta.
Non è un tema facile. Cosa sia mai la verità scientifica può spaventare; forse però il modo migliore per accostarsi è tener presente che questa verità non è soltanto “di parole”, ma è qualcosa “di fatti”, anzi di manufatti, di congegni, di artifici, di apparecchi..

Intervistatore: Che cosa si intende oggi per verità scientifica?

Giorello: La risposta più naturale sarebbe quella di dire che la verità scientifica è ciò che abitualmente gli scienziati credono e accettano. Naturalmente questa risposta lascia aperto il campo a una serie di ulteriori domande
Facciamo un esempio. La comunità scientifica di un tempo, o almeno quelli che allora si chiamavano i “filosofi della natura”, credeva che il vuoto non esistesse: il vuoto è il “non essere”, e quindi non c’è. Per cambiare idea ci vollero degli eretici (in un qualche modo), cioè dei contestatori di quello che veniva insegnato.
Noi potremmo dire che la verità scientifica è quello che viene controllato in un qualche modo dalla comunità scientifica. Non è soltanto quello che viene creduto, ma proprio quello che viene controllato con l’esperimento o con il ragionamento intellettuale.
Galileo Galilei parlava di “sensate esperienze e certe dimostrazioni”. Le certe dimostrazioni sono quelle della geometria e più in generale della matematica, mentre le sensate esperienze sono le esperienze dei nostri sensi, e anche quelle che facciamo in laboratorio.
Forse le verità scientifiche non sono così definitive come spesso si crede. Tante volte quello che noi riteniamo una verità scientifica ben controllata è qualcosa che, con una strumentazione più raffinata, viene ridotta di portata, e diventa meno universale. Questa “verità” è sostituita da una verità un po’ più profonda.
Noi riteniamo che una verità scientifica non sia altro che un enunciato che in un qualche modo noi possiamo controllare e che può essere anche scartato e sostituito da un altro, che ci permette di capire meglio le esperienze che facciamo, le osservazioni che vengono registrate.
In questo senso, quello che ci importa non è tanto il possesso di un qualche cosa, ma la tensione, lo sforzo che facciamo.
Ciò che io ho controllato lo puoi controllare anche tu, perché – come dicevano giustamente Galileo, Cartesio, Pascal, e tutti i grandi padri fondatori della scienza moderna – qualunque persona che sia in grado di intendere e di volere, e che abbia volontà di applicarsi, è in grado di fare e controllare quell’esperienza. La scienza è pubblica e controllabile da chiunque. Se è controllabile e pubblica, è anche insegnabile.

Intervistatore: Che rapporto c’è tra verità e realtà?

Giorello: Ogni persona sarebbe portata a credere che una cosa è vera se “fotografa bene”, “rispecchia bene” la realtà che ci circonda. Ma la realtà ha più d’una faccia, ha più d’un aspetto che può essere analizzato. Faccio un esempio, perché è meglio sempre che parlarsi per esempi. Tutti conoscono il modello dato da Galileo della caduta dei gravi. Tutti i corpi cadono secondo la stessa cinematica, con la stessa accelerazione. Quindi la stessa equazione descrive tanto la caduta d’una piuma quanto la caduta di una palla di cannone. Tuttavia, se guardiamo l’esperienza comune, non succede così. Perché? Perché la legge di Galileo, così come l’ho enunciata, è incompleta. Bisogna aggiungere, per esempio: “nel vuoto”. E’ cosa interessante che torniamo ancora al vuoto, perché questa intuizione di Galileo è stata sviluppata prima che la generazione successiva, quella dei Pascal o dei Boyle o del nostro italiano Torricelli, facessero gli esperimenti con le pompe aspiranti.
Bisogna allora dire: “Attenzione, questa legge di Galileo vale soltanto, soltanto se si è tolto via il mezzo” (il mezzo sarebbe la sostanza appunto attraverso la quale la palla di cannone e la piuma cade), per esempio l’aria. “Rendere il più possibile rarefatta l’aria”, diceva Galileo. Che vuol dire? Che la nostra immagine scientifica della realtà non rispecchia mai completamente la realtà, perché bisogna dimenticare qualche fattore di perturbazione: in questo caso, l’aria.
Le nostre leggi, in realtà, sono molto più approssimate che esatte, perché bisogna sempre tener presente che ci sono un mucchio di fattori perturbanti.
Questo vale già per una scienza come la matematica. Pensiamo a cosa succede a studiare, ad esempio, un processo del vivente, lo sviluppo di un embrione per esempio, oppure pensiamo a quella che si chiama la “dinamica di una popolazione”, per esempio come si equilibrano prede e predatori in una situazione geografica. Oppure pensiamo a una situazione economica costruita dall’uomo o a una situazione sociale. Man mano che si prendono in considerazione oggetti sempre più complessi, i fattori di perturbazione diventano tantissimi. La realtà è forse infinitamente più complessa e non smette mai di sorprenderci. La gente che si esaltava con le grandi conquiste della meccanica newtoniana, aveva delle informazioni sul nostro universo molto diverse da quelle che noi abbiamo ora. Per esempio, aveva delle idee diverse sul numero dei pianeti, non riteneva che l’universo fosse grande o vecchio quanto noi oggi lo riteniamo, ecc.
La natura ha continuato a sorprenderci. Questo senso di sorpresa della natura, che ci mostra come le nostre immagini siano in qualche modo anche sfocate e vadano continuamente corrette, è forse quello che rende l’impresa scientifica un’avventura, un’avventura affascinante.

Intervistatore: Che rapporto c’è oggi giorno tra verità scientifica e verità filosofica? Ossia come si pongono gli scienziati rispetto alla filosofia?

Giorello: Io credo che ormai ci sia una sostanziale differenza fra filosofia e scienza, anche se esse sono nate insieme con l’antica Grecia.
La differenza è questa: molti scienziati hanno la sensazione di una crescita del loro sapere, anche drammatica, anche segnata da rivoluzioni scientifiche. Il filosofo ha piuttosto la sensazione di riproporre gli eterni interrogativi. Oggi non facciamo più un esperimento per dimostrare l’esistenza di Dio, e forse nemmeno ci lasciamo convincere da una dimostrazione dell’esistenza di Dio, anche se in passato se ne sono fatte alcune, che erano argomenti logicamente anche molto interessanti.
Forse ogni scienziato ha la sua personale filosofia o forse, come diceva Albert Einstein, lo scienziato è un opportunista, che, quando ha bisogno di una filosofia particolare, se la prende e la usa, salvo poi passare ad un’altra, a seconda di dove lo sta guidando la propria ricerca.

Intervistatore: Lei pensa che la verità scientifica si tramuti in progresso per l’umanità?

Giorello: Dipende da cosa si intende per progresso. Se per progresso s’intende la crescita della conoscenza, credo che sia indubbio che oggi ne sappiamo un po’ di più dei tempi di Newton, e che Newton ne sapeva di più di Galilei. Se come progresso s’intende il successo tecnologico, anche qui credo che il mondo in cui noi viviamo stia a dimostrare che il progresso c’è stato.
Il buon vecchio Bacone diceva che Aristotele è stato importante, però tre invenzioni hanno cambiato il mondo, ai suoi tempi: la bussola, la stampa e la polvere da sparo.
Il mondo è cambiato in meglio, secondo le nostre speranze e i nostri auspici? Qui ritorna il problema del codice morale. Può darsi che, dal nostro punto di vista, il progresso tecnologico non sia un progresso in assoluto; può darsi che noi siamo terrorizzati dalle grandi capacità della tecnica, più che della scienza, di uccidere.
Enrico Fermi diceva che, dopo tutto, la comparsa della bomba atomica e poi di ordigni sempre più potenti aveva in qualche modo frenato almeno le grandi potenze dallo scatenarsi in conflitti locali. Dipende da che cosa intendiamo noi come progresso a livello morale.

Intervistatore: Per il benessere dell’umanità non è meglio in certi campi fermare la ricerca, la ricerca della verità scientifica? Mi riferisco, in particolare, alla genetica.

Giorello: Sì, ci sono degli scienziati che la pensano così. C’è stato un genetista che ha rinunciato a lavorare nel campo della sperimentazione genetica. Anche queste sono scelte molto legate, io credo, alla coscienza individuale. Stiamo attenti che questo non diventi una filosofia di Stato, perché ci sono anche esempi di società che, per paura dell’innovazione scientifica e tecnologica, hanno fermato la ricerca e poi sono state sopraffatte.

Intervistatore: Attualmente qual è il rapporto tra scienza e religione?

Giorello: Io credo che oggi il rapporto tra scienza e religione sia un rapporto di neutralità, come diceva, tra l’altro, un filosofo scomparso di recente, Paul Feyerabend.
Oggi cerchiamo di invadere il meno possibile i campi reciproci. Non è stato sempre così.
Coloro che sostenevano che la terra è rotonda, che è concezione già greca per molti versi, furono osteggiati dalle autorità religiose, che invece pensavano a una terra piatta, per un lungo periodo di tempo. Poi però sono venute le navi di Colombo. Colombo era convinto di fare la volontà di Dio, e che uno dei rilievi che egli vede in uno nei suoi viaggi fosse la montagna del Purgatorio. Però queste montagne del Purgatorio son state poi sfruttate e economizzate.
Quindi, in un qualche modo, si ha l’impressione che la religione si sia un po’ ritirata nelle sue pretese. Noi sappiamo che il Sommo Pontefice ha chiesto “scusa” a Galileo Galilei per la condanna del 1633, quando Galilei fu condannato per aver sostenuto, in scienza, qualcosa di diverso da quello che volevano i suoi censori francescani e domenicani.
Può darsi che questo divario sia destinato ad aumentare. Noi non lo sappiamo. Oppure è possibile che la scienza ritorni a riproporre proprio quei temi che possono accendere una nuova religiosità.

Intervistatore: Si può dire che parlare di verità scientifica e di verità in genere è un parlare di convenzioni, di convenzioni che nascono da una necessità di intendersi?

Giorello: Il momento delle convenzioni è importantissimo, ma non è l’unico. Prendiamo il caso appunto della matematica. Noi matematici fissiamo i postulati di partenza, di Euclide per esempio, ma poi i problemi che vengono fuori sfuggono al nostro controllo. Non è che noi siamo dei padroni assoluti.
Il fatto che il quinto postulato di Euclide – quello secondo il quale per un punto, fuori da una retta data, passa una e una sola retta parallela alla retta assegnata – non sia deducibile dagli altri, è un fatto contro cui il matematico sbatte i denti, esattamente come sbatte i denti anche lo scienziato empirico quando ha un’anomalia o qualche cosa che non gli torna.
Quindi noi siamo padroni delle nostre convenzioni, ma fino a un certo punto. Le convenzioni lavorano per conto loro. Anche il matematico si trova di fronte a problemi oggettivi. Non c’è solo convenzione, ma c’è anche una resistenza della materia: è questa che rende la questione così affascinante perché, se tutto fosse convenzione ed arbitrio, la scienza sarebbe solo un giochetto. Invece non è un gioco, è una sfida continua dell’intelligenza: con i numeri, con i laboratori, e qualche volta con i laboratori e con i numeri insieme.

Intervistatore: Non si può parlare allora di una verità immortale, universale, visto che ogni epoca ha le sue scoperte?

Giorello: Io penso che, proprio perché una teoria scientifica ha una “pretesa di universalità”, essa potrà essere superata nel futuro. Quando Newton formula la legge della gravitazione universale, egli è convinto che valga per tutte le masse e a qualunque distanza. La meccanica newtoniana doveva valere per qualunque velocità. Poi noi abbiamo capito che, per le velocità vicine a quelle della luce, ci vuole una meccanica più sofisticata.
L’aspirazione è sempre verso qualcosa di universale, anche se Newton e Einstein sono persone nate in un contesto culturale ben preciso, con un certo tipo di credenze, con un certo tipo di educazione, che senza dubbio ha influito sullo stile con cui hanno comunicato le loro scoperte. Quindi io credo che noi dobbiamo riconoscere da una parte la relatività delle teorie scientifiche, ma anche prendere sul serio la loro pretesa di universalità: altrimenti sarebbero una semplice espressione culturale. Invece la scienza vuole essere qualcosa di più, vuole essere anche il fondamento, per esempio, di una tecnologia di successo e vuole spiegare appunto come è fatto il mondo, anche in casi molto difficili.

Intervistatore: Quali sono i presupposti necessari per trovare una verità scientifica?

Giorello: Si può rispondere soltanto in questo modo: avere una società abbastanza illuminata dal finanziare molti programmi di ricerca, magari in concorrenza: lasciare che cento fiori fioriscano, e che il dibattito corra nella maniera più libera e più spregiudicata possibile.
Quando dico “più libera e più spregiudicata” volevo riprendere proprio una cosa che dicevano loro prima, e cioè che c’è un momento della comunicazione scientifica, che va oltre quello che è semplicemente per “gli addetti ai lavori” e arriva a largo pubblico. Il largo pubblico recepisce certe cose, forse non certe altre. Quindi si pone un problema anche di educazione alla scienza.

Intervistatore: Professore, il fatto che in alcuni campi esistono più verità scientifiche, a volte in contraddizione tra di loro, non può indurci a pensare che non esiste una verità assoluta, cioè una verità assoluta scientifica?

Giorello: Io non riesco bene a capire che cosa s’intenda per verità assoluta.
Io credo che abbiamo punti di vista sempre più sofisticati e raffinati che si confrontano. Se questi punti di vista arrivassero all’assolutezza e alla perfezione, non avremmo più la ricerca.
Io credo che la verità assoluta sarebbe quieta e tranquilla come la pace dei cimiteri. Io invece ritengo che noi viviamo proprio per metterci continuamente in discussione.
Quello che ci interessa non è il possesso: è la ricerca.

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