Rapporto dell’incontro di Giulio Giorello con gli studenti (1998)


 Giorello: Mi presento, sono Giulio Giorello, insegno Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Milano e normalmente non mi occupo di Fede e ragione, cioè non mi occupo dell’argomento di cui parliamo oggi. Allora come mai ci sono finito dentro? Mi sembra giusto dirlo. Ci sono finito dentro in veste, come dire, di imputato, perché un giorno il mio amico, il teologo Bruno Forte, di Napoli, mi ha coinvolto in un libro che ha scritto per l’editore milanese, Raffaele Cortina, che si intitolava Trinità per atei, cioè come spiegare la Trinità, se mai la Trinità si può spiegare, a gente che non solo non crede nella Trinità, ma non crede forse nemmeno in Dio. E appunto, volendo scrivere un libro Trinità per atei,Bruno aveva bisogno di alcuni atei con cui dialogare. Allora ha beccato Vincenzo Vitiello, Massimo Cacciari e il qui presente. Quindi noi abbiamo fatto un po’ quelli che dovevano dare a Forte le battute, come si fa nelle comiche, dove c’è il comico di base e poi ci sono quelli che gli danno la battutina per poter far successo. E noi ci siamo presi appunto il compito di fare da spalla come si dice in gergo teatrale. Ne è venuto fuori un dialogo molto strano, nel senso che da una parte Bruno Forte ha scoperto che dentro di lui, sotto sotto, covava ogni tanto un piccolo ateo, e forse gli atei hanno scoperto che dopo tutto la religione, o meglio il mondo della fede, gli interessava. Allora la nostra sfida di oggi è di cercare di vedere se riusciamo a interessarci di questo, ancora una volta non scegliendo soltanto i temi generali, ma provando a vedere come anche un tema così diverso dai soliti si può incarnare e realizzare in degli oggetti, per esempio, che hanno avuto una portanza simbolica. Non so, la croce, per esempio, ha una portata simbolica, credo molto forte. Non solo, ma come anche ha mosso la fantasia di artisti, di poeti, di registi cinematografici. Cominciamo con una scheda, in cui vedremo un pochettino come questi temi si realizzano in immagini, forse hanno una presa sul pubblico più forte che il discorso.

……….Si visiona la scheda.

Giorello: Beh quello che abbiamo visto era il montaggio di due film differenti. Uno è il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini e l’altro invece è un musical Jesus Cristh Supestar. Perché li abbiamo messi insieme? Li abbiamo messi insieme perché mettono in contrasto due aspetti della tradizione religiosa a cui noi siamo maggiormente abituati, che è il cristianesimo. Non dico che sia l’unica religione, questo mi sembra evidente, insomma, anche nel nostro paese, però è senza dubbio quella che ha più marcato la nostra civiltà, il nostro modo di pensare, il nostro modo di parlare. E ci sono due aspetti che sono fortemente in contrasto nei due spezzoni, che avete visto. Pasolini insiste sul dolore, sulla sofferenza, sulla tragedia senza sbocco.

Cristo sulla croce è un uomo che muore e la tragedia è senza soluzione. Cioè il dolore e l’insulto restano fortemente espressi anche dalla figura della madre piangente. E’ un cristianesimo senza speranza, un cristianesimo del dolore, ed è tragico. L’altro invece è un cristianesimo che canta quello che è uno dei momenti di vittoria. “Tuoi sono il potere e la gloria”. E’ un cristianesimo, se volete, un po’ più protestante, un po’ più americano. Allora c’è questo tema che è continuamente giocato, nel cristianesimo: da una parte Cristo è Dio che si fa uomo, come uomo soffre e conosce la tragedia finale, la morte. D’altra parte però c’è invece il Dio trionfatore.

STUDENTESSA: Volevo sapere se la fede condiziona, se pone dei limiti alla ricerca scientifica, e, in caso affermativo, in che modo?

Giorello: Io non lo so se la fede porti limiti alla ricerca scientifica. La fede è un dono che l’individuo riceve. Ci sono scienziati credenti, ci sono scienziati non credenti, ci sono atei, ci sono agnostici, ci sono cristiani, musulmani, eccetera. E’ vera una cosa, che, quando l’istituzione ecclesiastica è diventata un potere, in alcuni contesti questo potere ha di fatto ostacolato la crescita della scoperta scientifica. E questo soprattutto nella nostra storia. Noi conosciamo il grande scontro, per esempio, sulle ipotesi che stanno alla base del nostro universo, sui meccanismi del nostro universo, e sappiamo benissimo che Galileo Galilei fu condannato, nel 1633. Galileo era uomo di fede, però fu condannato lo stesso.

STUDENTESSA: Come Tommaso, nella elaborazione della sua filosofia, aveva comunque adottato il metodo della conciliazione tra il naturalismo averroista e il misticismo francescano, secondo Lei, oggi è possibile, in una società come la nostra, dove i radicalismi sono così forti, cercare di conciliare appunto fede e ragione?

Giorello: Ma intanto gli averroisti nel mondo dell’Islam ebbero i loro problemi. Averroé ebbe le sue grane molto forti con i teologi più oltranzisti. Anche i francescani ebbero i loro problemi, perché un certo tipo di spiritualità francescana fu represso pesantemente, la spaccatura tra conventuali, più pronti al compromesso con Roma, e gli spirituali. Quindi francescani e averroisti hanno già una storia tormentata. Oggi credo che questa storia sia più tormentata che mai, non tanto, di nuovo, io penso, per questioni di fede contro ragione, ma per questioni di istituzioni. Le Chiese sono grandi istituzioni politiche e anche la ricerca scientifica è una grande istituzione ormai. Questa situazione oggi non è più nelle condizioni di Galileo Galilei, non deve lottare per i propri spazi. I propri spazi li ha già, ha già la propria egemonia, sulla stessa nostra vita quotidiana. Noi pensiamo a noi stessi in termini scientifici. Quando pensiamo ad esempio il nostro corpo, lo pensiamo in termini medici. Quando pensiamo alla nostra mente, la pensiamo magari come se fosse un computer, in termini informatici. Ora, di fronte a questo potere della scienza, la Chiesa ha fatto secondo me, un forte arretramento. Fino a quanto dura questo arretramento e che tipo di problemi morali verranno fuori? Questa credo che sia una delle grandi sfide del terzo millennio. Una sfida aperta.

STUDENTESSA: Ma, se esiste una differenza fra fede e dottrina, quale delle due entra più spesso in relazione con la scienza?

Giorello: Ma sa, la dottrina è un insieme di frasi, di teorie, e quindi questa sicuramente, secondo me, rischia di più di entrare in conflitto con l’impresa scientifica. La fede, io insito, è per chi ce l’ha – io non ce l’ho -, ma per chi ce l’ha credo che sia un grande dono. E un dono non entra in conflitto con niente. Non entra in conflitto con la matematica, con la fisica e nemmeno con la filosofia, insomma. E’ un grande dono. Il problema è che invece la dottrina no. La dottrina vuol dire come è fatto il mondo, insomma, oppure vuol dire come dobbiamo comportarci. Questi sono modi di vedere il mondo e modi di comportarsi, che non sono d’accordo con quella dottrina. Credo che ce ne rendiamo conto insomma, in qualunque campo della nostra vita, da quello politico alla sfera sessuale, insomma.

STUDENTESSA: Scusi, Lei ci ha detto che non ha fede. Ma ne ha avuta? Quindi può immaginare cosa prova chi ha fede, quindi?

Giorello: Questa è una bella domanda, anche molto inquietante, La ringrazio per averla fatta. Io non so se ho avuto una fede da ragazzo, perché quello che uno riceve per tradizione è una fede implicita, è una qualche cosa che è quasi un’abitudine. Credo di non avere fede adesso, non so se l’avrò in futuro, perché nessuno può ipotecare il futuro. Ho preferito definirmi in quel libro con Bruno Forte, ateo e non agnostico, cioè non uno che non sa, ma da uno dall’altra parte, perché mi sembrava troppo facile dire: “Sono agnostico e me ne lavo le mai”. So benissimo che l’ateismo può essere anche questo, una fede. Quello però non lo vivrei come fede, se mai lo vivrei come domande. Cioè evidentemente chi non ha la fede si pone lo stesso delle domande e non sa trovare la risposta e non smette di domandare. Questo non è una condizione felice, ma non è detto che siamo nati per esser felici insomma.

STUDENTE: Lei può dare una spiegazione a quei tanti giovani che oggi si allontanano dalla fede e quindi magari hanno un atteggiamento molto, diciamo, contrariato verso la Chiesa e verso le istituzioni ecclesiastiche in genere, ma, in particolare verso le religioni. Quindi c’è un allontanamento dei giovani? Lei ha una spiegazione a questo proposito?

Giorello: No, non del tutto. Nel senso che tu mi chiedi perché i giovani si allontanino dalla fede. Io non so se si allontanano di più i giovani o i vecchi. Se questo allontanamento sia per un problema profondo dentro di sé o semplicemente per una certa insofferenza nei confronti delle istituzioni, delle Chiese costituite. In molti casi alle religioni tradizioni si contrappongono delle forme di religiosità, non meglio definite, le tendenze new age cosiddette. Di nuovo io non ho una risposta da darti precisa. Credo che la religione, come legame forte, sia in molti casi entrata in crisi. Ritengo che l’inizio di questa crisi però sia molto antica, che forse si accosta sul Cristianesimo. E’ con la stessa figura di Cristo che la religione entra in crisi, perché Cristo pone la divinità direttamente dentro la natura e la storia. Io ho scelto tra i vari oggetti questo qui che rappresenta una croce irlandese, una delle croci celtiche, perché mi sembra emblematica di come, nel ciclo della natura, coi suoi ritmi, colle sue regole, coi suoi modi propri di sviluppo, si inserisca invece, come una partizione netta dello spazio del tempo, l’evento cristiano. E’ una grande sfida questa. Il Cristianesimo ci porta Dio su questa terra, lo fa protagonista di un processo storico ben definito, in un’epoca che è ben precisa, e poi dà all’umanità il compito di vedere, di verificare in un qualche modo questo atto d’amore, che è poi l’incarnazione. Qui è il problema, ma di fondo: è stato vinto o è stato sconfitto il Cristianesimo? Un teologo, che è recentemente scomparso, che era anche un grande e caro amico, Sergio Quinzio, riteneva che il Cristianesimo fosse stato sconfitto. Aveva scritto proprio un libro dedicato alla sconfitta del Cristianesimo. Io vorrei che voi sentiste insieme cosa ne pensava Quinzio e vedere se siamo d’accordo o meno.

-Si ascolta il pensiero di Quinzio, sotto forma di intervista:

INTERVISTATORE: Nel libro intitolato La sconfitta di Dio, Lei ricostruisce la storia biblica come una successione di sconfitte e di fallimenti subiti da un Dio debole, impotente di fronte al male e fin dalle origini minacciato. Nella cabala si dice che la stessa creazione non è una manifestazione di potenza, ma un contrarsi di Dio, che si autolimita per far posto al mondo. Sergio Quinzio vuole ripercorrere brevemente questa storia di sconfitte, che inizia con la creazione, si prolunga nella crocifissione e culmina nella tragedia di Auschwitz, espressione suprema dell’impotenza di Dio?

QUINZIO: Certo. Ma indubbiamente la creazione implica una perdita di potere assoluto di Dio, perché evidentemente se Dio crea l’uomo libero, in qualche modo si espone al rischio di un uomo che disobbedisca alla sua legge. Quindi creando si apre – non è che necessariamente si compie il male -, ma si apre una possibilità che il male si compia, perché evidentemente si può disubbidire alla legge di Dio, quindi può entrare il peccato, può entrare la colpa, può entrare l’ingiustizia, può entrare la morte. Quindi, ad ogni modo, questo, questo atto iniziale del creare è già un atto attraverso il quale Dio nega in parte la sua onnipotenza. La nega anche in altri modi, perché, per esempio, si apre la possibilità di una richiesta da parte dell’uomo. L’uomo lo prega e in qualche modo, secondo tutta la tradizione ebraica, la preghiera ha il potere di modificare il decreto di Dio, Dio aveva disposto una cosa, ma l’uomo lo prega e Dio cancella il suo decreto. Quindi ecco che Dio in qualche modo ha una certa impotenza, una certa che, non si è saputo il termine paolino, un certo abbassamento, un certo annichilimento, che comincia già nel momento, nel momento della creazione.

STUDENTE: Io volevo chiederLe se, a differenza col mondo cristiano, nell’Islam vi è un certo rapporto che condiziona l’agire delle persone, tra fede e ragione, in quanto sappiamo che comunque le leggi della religione islamica condizionano il modo di agire e di pensare dell’individuo credente!

Giorello: Sì, io non sono un esperto dell’Islam. La mia sensazione è che nel santo Corano e nella stessa tradizione islamica ci sia un accento molto forte sull’importanza della conoscenza. La conquista della conoscenza – e non soltanto la conoscenza religiosa – è addirittura un elemento di giustizia politica. Questo mi sembra un elemento importantissimo. E’ forse questa la ragione per cui l’Islam ha conosciuto dei contrasti religiosi molto forti – quello che tu dicevi prima, che poi diventa anche codice di comportamento e di diritto -, dei contrasti molto forti da cui il mondo islamico è ancora tutt’oggi travagliato, però non ha mai conosciuto, per esempio, un caso Galileo. Non c’è un caso Galileo dell’Islam. C’è una fiorente scienza nell’Islam, che dura per secoli, che non è soltanto acquisizione di patrimonio greco o di tendenze che vengono dall’Oriente, dall’India o dalla Cina, ma è una rielaborazione originale, spregiudicata, coraggiosa, che in molti casi anticipa in maniera chiarissima quella che sarà poi la rivoluzione scientifica di Galileo, di cui parlavamo prima. Quindi è un terreno, devo dire, di un’esperienza per molti versi diversa da quella del Cristianesimo; per quanto ne so io, però.

STUDENTESSA: Scusi. Il fatto che non ci sia un caso Galilei è dato dal fatto che la fede è più forte nell’Islam o al fatto che la dottrina è più forte sul pensiero di coloro che seguono la religione dell’Islam?

Giorello: Ma io direi che forse sta nel fatto che la dottrina è molto più libera, più flessibile. Cioè, mentre curiosamente il codice morale e giuridico è estremamente forte – il codice morale e giuridico -, molto meno si impegna su come è fatto il mondo. Come è fatto il mondo non viene raccontato dalle parole del Corano, è lasciato alla libera indagine di coloro che amano il sapere, cioè dei filosofi o, noi diremmo oggi, degli scienziati. In questo senso forse si possono trovare degli spazi che a noi sono molto chiusi, ma per altri versi, intellettualmente sono molto aperti.

STUDENTESSA: Quindi gli interventi anche del Papa sulla bioetica fermano quello che è lo sviluppo nel mondo occidentale di queste scienze?

Giorello: Ma credo che il Papa sia una grande autorità nel mondo cristiano, che abbia un prestigio anche al di fuori da quello che è lo stretto mondo cattolico e che quindi una presa di posizione del Papa, autorevole nel bene o nel male, possa avere delle enormi conseguenze, tenendo però conto di una cosa, che oggi – quello che dicevo prima – la impresa scientifica non è nelle condizioni di Galileo o di Newton, è una comunità estremamente strutturata, legata a forti interessi industriali, con un potere notevole e un prestigio notevole, perché la scienza degli ultimi tre secoli è passata di successo in successo, anche in successi di cui noi magari abbiamo paura. Esempio: l’energia atomica o piuttosto le biotecnologie.

STUDENTESSA: Scusi, nella scheda, nel filmato, si è parlato di un Dio impotente, di un Dio, diciamo, sconfitto. Perché tra le varie tragedie umane, quindi che sono emblema di questa sconfitta, diciamo, divina, c’è Auschwitz. Cioè perché, in particolare?

Giorello: Direi intanto perché Auschwitz è l’espressione più sistematica dello sterminio. Io non tradurrei scioà con olocausto, io tradurrei con sterminio, in maniera molto più forte. E appunto, dov’è il tuo Dio, in questo momento che sei solo di fronte gli sterminatori? Forse è scomparso, forse ha lasciato i suoi giusti, forse si è ritirato in qualche piega dello spazio-tempo newtoniano e non guarda più quello che succede su questa terra? E’ proprio il punto finale di quel processo, di cui parlava Sergio Quinzio prima. La libertà lasciata, non soltanto agli uomini, ma all’intero creato, fa sì che questa vada per conto proprio. E Dio appunto si ritira in un recesso sempre più lontano e inaccessibile.

STUDENTESSA: Quindi praticamente il male è la negazione dell’onnipotenza divina?

Giorello: Ma guardi, qui sul male e negazione dell’onnipotenza divina, sa si sono rotta la testa molti grandi teologi. C’è chi sosteneva, con molta coerenza, che Dio resta onnipotente, anche di fronte alla sua creazione. La sua creazione è semplicemente qualche cosa che dipende totalmente dalla volontà di Dio, che ha già predestinato ogni destino, anche il tuo, che mi fai questa domanda, e il mio, che ti dò questa risposta. Calvino ha avuto – intendo Giovanni Calvinio, beninteso, il grande riformatore di Ginevra -, ha avuto questa posizione, una posizione molto curiosa anche, molto difficile, perché sembra negare totalmente la libertà dell’uomo. Ci fa forse dei burattini, di fronte a Dio? Oppure, Dio vuole che l’uomo peccasse a cominciare da Adamo? Lo ha preordinato che peccasse. Come diceva un teologo protestante: “Che orribile mistero questo, della predestinazione”. Ma che strana la situazione: i calvinisti, che sembrano così acquiescenti alla volontà di Dio, sono stati quelli che poi, politicamente, sono stati tra i ribelli più coraggiosi nell’affermare diritti e libertà ed economicamente dei grandi imprenditori che hanno lanciato la libera iniziativa. Prendiamo l’oggettino – oggettino mica tanto, un oggettone -: questo è un pastorale, pastorale. Voi non so se avete mai visto lo stemma della città di Basilea. La città di Basilea, una città della Svizzera, ha un pastorale spezzato. Si fece questo stemma quando gli evangelici, ribelli all’autorità del vescovo, che rispondeva a Roma, volendo cambiare i costumi e i riti, cioè fare quella che poi si è chiamata la Riforma Protestante, per convincere il vescovo ad andarsene, gli spezzarono il pastorale sulla schiena. Questa è l’origine appunto dello stemma di Basilea. Adesso il pastorale non lo spezziamo sulla schiena a nessuno, perché farebbe pure male, è anche di metallo. Però questo vuol dire una cosa, come diceva un filosofo protestante, nell’Inghilterra del primo Seicento: i cattolici credono nel libero arbitrio, però si inginocchiano di fronte al re, noi protestanti non crediamo nel libero arbitrio, però ci alziamo in piedi e sappiamo lottare per i nostri diritti. Sta tra voi scegliere con chi volete stare, naturalmente.

STUDENTESSA: Scusi, volevo sapere: l’ateo rifiuta di far parte di una comunità, rifiuta certe dottrine, ma allora come si pone al mondo l’ateo?

Giorello: Ma io intanto non direi che un ateo si rifiuti di far parte di una comunità.

STUDENTESSA: Sì comunque rifiuta una comunità religiosa, non si riconosce più…

Giorello: Non rifiuta. Non si riconosce nella comunità religiosa, ma si può riconoscere in mille altre comunità: in una società sportiva, in un partito politico. Ha una convivenza di cittadino organizzato in uno stato, in una unione di stati, come cittadino dell’umanità, come si può riconoscere chi è musulmano, cattolico, ebreo, protestante e via di seguito. Certo non farà parte della comunità dei credenti o di coloro che seguono un particolare insieme di regole rituali. Ma questo è un problema di chi? E’ un problema dell’ateo? Forse è un problema di chi vuole imporre queste regole a tutta quanta la società, in un programma che si chiama appunto integralista. L’ateo non ha buona vita in un mondo integralista, lotta qualche volta perché un mondo integralista abbassi le sue pretese e si realizzi un mondo un po’ più libero. Oliver Cromwell, che non era un ateo, perché era un puritano, quindi un calvinista di quelli piuttosto decisi, quando gli vennero a dire che un suo sottoposto aveva delle strane idee in materia di religione, era un anabattista, di quelli che pensavano che per salvarsi bisognava battezzarsi o ribattezzarsi da adulti, rispose: “Ma a me non interessa se questo signore è o no un anabattista. Serve bene lo Stato, combatte bene nel nostro esercito e allora da questo punto di vista può far parte benissimo della nostra comunità”, che, in quel caso, era quella sorta di democrazia in armi, che si chiama democrazia di nuovo modello, che riuscì a imporre in Inghilterra, quello che finora è l’unico esempio repubblicano, che quel paese ha avuto nella sua storia.

STUDENTE: Senta se Dio ha concesso la libertà all’uomo, come si spiega il concetto di provvidenza o volontà di Dio, relativa al mondo?

Giorello: Sa dovrebbe chiederlo al mio amico, don Bruno Forte, che ci crede alla Provvidenza, non a me che non ci credo, insomma. Io sono più portato a dar ragione a Quinzio. Se c’è libertà radicale dell’uomo e forse addirittura c’è autonomia nel processo naturale dell’intera natura rispetto al disegno del Signore, questo disegno corre per lo meno il rischio di essere sconfitto. Ma se corre il rischio di essere sconfitto, magari di fatto è sconfitto. Questa è poi la sfida che poneva Quinzio in quell’intervento. Quindi io devo dire che mi resta sempre un po’ oscura la nozione di Provvidenza, alla Manzoni. Certo c’è la Provvidenza, perché alla fine del romanzo Renzo e Lucia si sposano e abbiamo l’happy end. Peccato che siano morti qualche migliaio di persone, nella guerra dei Trenta anni, per non dire delle vittime della peste, eccetera, eccetera, eccetera. Saran stati mica tutti Don Rodrigo quelli che son morti nella peste. Allora, se anche questa Provvidenza c’è, è così al di là della nostra mente, forse le nostre menti finite non la colgono nei suoi disegni profondi, che forse tanto vale restare nel finito e porsi di fronte a quello che non funziona, al dolore, alla sofferenza in atteggiamento puramente laico, di collaborazione anche con chi, chi è credente. Un po’ come l’ufficiale di Cromwell, l’importante era poi come si comportava.

STUDENTE: Io, ritornando al discorso di prima, siccome Lei ha detto che la fede è un dono, volevo sapere se Lei pensa che il credente, il fedele abbia qualcosa in più rispetto l’ateo, e se questo qualcosa sia da invidiare.

Giorello: Sa che i doni son sempre ambigui. Nella grande tradizione antropologica noi sappiamo che un dono può essere anche un peso. Chiacchierando appunto con Bruno Forte, l’impressione che ho avuto è che anche questo dono può essere molto difficile da portare e quindi è schematica l’idea di un credente soddisfatto e di un ateo insoddisfatto. Il mio amico Bruno Forte dice una frase molto bella: che ogni ateo ha dentro un piccolo germoglio, che si pone le domande del credente e ogni credente però ha un ateo che ogni tanto cerca di corrodere questa fede. Credo che in nessuno dei due casi dobbiamo pensare a delle indissolubili ed inossidabili certezze. Ecco, non sono certezze d’acciaio. Son passati questi tempi. Non penso a degli atei che creano una religione di Stato, in cui mettono i credenti tutti in campi di concentramento e non penso che tutti i credenti, tutti i cattolici, visto che siamo in un paese cattolico, complottino per rimettere in piedi la Santa Inquisizione. Credo che queste siano visioni storiche un po’ superate. Credo che questo sia un po’ il tempo del logos, del logo, come dice il Vangelo di Giovanni, e quindi del di-a-logos, del dialogo tra gli uni e gli altri.

STUDENTESSA: Io volevo dire che, secondo me, la fede non è un dono, ma bensì una scelta di vita. E poi secondo me non è vero che in ogni credente c’è un ateo, che è lì nell’angolino e ogni tanto esce. Sono dei dubbi che, diciamo così, assalgono qualsiasi persona umana, sono, diciamo così, dubbi umani che si pongono a seconda della società in cui un uomo vive, quindi sono giusti.

Giorello: Beh, se lei vuol dire che invece di un piccolo ateo ci sono tanti dubbi, non è che una differenza verbale.

STUDENTESSA: E’ un po’ diverso.

Giorello: Se invece lei vuol dire che non si ha il diritto di dubitare, beh, questo è piuttosto una cosa un po’ minacciosa. Infine che uno possa scegliere la fede, beato chi riesce a sceglierla, insomma. Io sono su questo un po’ calvinista, penso che la fede sia un dono dell’Onnipotente, non una scelta umana. Questa è questione di gusti, insomma.

STUDENTESSA: Allora, nel Medioevo abbiamo visto la supremazia dell’auctoritas, cioè un po’ quindi la subordinazione della fede alla ragione. Ora, secondo Lei, qual è quell’evento storico che segna proprio la nascita dell’incompatibilità fra fede e ragione?

Giorello: Ma io, come dicevo, non è che penso tanto a una incompatibilità di fede e ragione, quanto a una fine della pretesa del monopolio della verità. Che è una cosa diversa. Ora, secondo me, una delle grandi crisi, ma crisi di crescita, che segnano la modernità, cioè è proprio la Riforma Protestante, in cui, da motivazioni religiose, cristiane, fortemente cristiane, viene messa in discussione la supremazia di Roma. Certamente non erano dei liberi pensatori né Lutero né Calvino, ma hanno fatto sì che molto dello spirito critico partisse proprio dalla loro coraggiosa rivolta del monopolio della verità. Poi ne volevano uno per conto loro, naturalmente.

STUDENTESSA: Come si mostrano le persone che, come Lei, non hanno fede davanti ad alcuni fenomeni come i miracoli, che, diciamo, adesso sono gli elementi portanti appunto della fede?

Giorello: Sa cosa diceva David Hume “Un garbato scetticismo”. Cioè noi rispettiamo manifestazioni che non spieghiamo, giustamente, ci son molte cose a questo mondo che non spieghiamo, non deridiamo le persone che ci credono, ma, come dire, non è che ci lasciamo convincere. Hume dice: “Un garbato scetticismo”, che non è uno scetticismo aggressivo.

STUDENTESSA: Lei ha detto che è ateo e quindi non crede in un, diciamo, in un essere irrazionale. Io personalmente, va bene, sto attraversando un periodo di crisi, perché, come penso molti ragazzi alla mia età, non so, diciamo, non so precisamente a cosa credere, cioè se esiste questa forza irrazionale, questo essere irrazionale o al contrario. Però quello che io volevo chiederLe, tutti nella vita, insomma a tutti capita di avere momenti difficili e quindi di avere, di provare dei forti dolori. Però magari il credente in quel momento dice: “Dio aiutami”, e quindi magari riesce a darsi un conforto, riesce a pregare e quindi a darsi una spiegazione. Ma l’ateo cioè è più forte del credente, riesce a superare di più le situazioni, senza chiedere aiuto a un essere, insomma, più forte?

Giorello: Secondo me un po’ in tutto quello che abbiamo detto viene fuori l’idea che vale l’antico detto che è bene contare sulle proprie forze nei momenti drammatici, questo sia che uno sia un credente…

STUDENTESSA: Beh, però non tutti sono così forti da riuscirci.

Giorello: Beh, ci si tenta. L’importante è provarci, insomma. L’importante, sa com’è, non è vincere, ma gareggiare, come diceva quell’altro. Allora proviamo a gareggiare contro le avversità, il dolore, le tristezze, le paure e riusciamo forse ad avere, se siamo credenti, una fede più forte, che non sia semplicemente una consolazione delle proprie paure, e se non siamo credenti, a guardarci in faccia lo stesso con gli occhi alti, insomma, senza guardare a terra. E ricordiamoci, visto che abbiam parlato della tradizione soprattutto cristiana, anche se non solo della tradizione cristiana, che nel cristianesimo antico non c’è solo la immagine del Cristo dolorante inchiodato sulla croce, ci sono anche delle espressioni metaforiche, che sono allo stesso tempo di forza e debolezza. Una di queste è la Fenicie. La Fenicie è il grande uccello d’Arabia, che forma il suo Dio nel fuoco e viene distrutta dal fuoco e sempre rinasce. Io credo che avesse ragione un filosofo contemporaneo che diceva che Cristo è un po’ come la Fenicie, fa il nido nel fuoco che la distrugge. Ecco noi dovremmo cercare di sforzarci tutti di essere un po’ come le Fenice, di fronte ai dolori, alle paure, alle passioni. E appunto in questo senso credo che il messaggio di Cristo valga sia per i credenti che per gli atei.

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