“Questione difficile”, direte. Certo, è molto difficile, ma prima di rispondere va definito qual è il livello di diseguaglianza ritenuto accettabile in un determinato contesto sociale e qual è il livello di povertà degli individui. Compito degli studiosi e dei tecnici è la messa apunto di strumenti adatti ad individuare questo valore e ad indirizzare gli interventi necessari per intervenire sui soggetti che sono al di sotto della soglia calcolata. Nulla dovrebbe essere lasciato al caso e men che meno le misure dovrebbero mancare il bersaglio. Gli sforzi per andare in questa direzione ci sono stati e l’ISTAT, dopo una lunga gestazione, a messo a punto un metodo per misurare la ‘povertà assoluta’. Esso si affianca alla misura di ‘povertà relativa’ che valuta la povertà in base al tenore di vita. Le due misure non sono in contrasto tra di loro, ma sono complementari. Secondo il metro introdotto dalla ‘povertà relativa’ viene considerato povero un individuo (o famiglia) che ha un reddito o tenore di vita inferiore alla metà del reddito medio o tenore di vita medio. Secondo il metodo della ‘povertà assoluta’, è povero chi non riesce a consumare un paniere di beni definito essenziale in relazione alla società in cui vive, quindi si riferisce all’incapacità di evitare forme di esclusione sociale. Ciò significa:

  • una alimentazione adeguata secondo le indicazioni dell’Istituto Nazionale della Nutrizione;
  • una abitazione di ampiezza secondo gli standard di abitabilità utilizzate dalla ASL;
  • la possibilità di far fronte alle spese di base per salute, istruzione, trasporti e vestiario;

Si tratta di necessità che accomunano tutti gli abitanti del territorio italiano, ma che variano a seconda dell’età e della località in cui si vive.

Abbiamo notato che in Italia manca un intervento a sostegno del reddito, che sia omogeneo per tutti i cittadini. Le uniche categorie di persone che hanno un certo livello di garanzia sono gli anziani e i disabili, a cui si aggiunge un assegno per le famiglie dei lavoratori dipendenti e, introdotto solo di recente, un assegno per le famiglie povere con almeno tre figli minori. Ogni altro tipo di sostegno è demandato alle strutture locali, Regioni e Comuni, con esiti frammentari e disomogenei, per cui coesistono realtà locali con elevati livelli di intervento e comportamenti ad elevata discrezionalità ed eterogeneità dei trattamenti che sono la causa principale della deriva assistenzialistica spesso imputata al modesto welfare italiano.

Bisogna fare di più. Bisogna guardare oltre il muro e legare maggiormente il livello di povertà al costo della vita, differente per aree geografiche. Occorre incrementare il modello di politica sociale a sostegno del reddito sotto la responsabilità pubblica, con criteri universalistici e non categoriali e/o discrezionali, che miri non ad erogare ‘carità’, ma a sviluppare competenze e diritti insieme a responsabilità.

 

 

 

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