<< Nella laicità dello stato bisogna riconoscere la rilevanza pubblica e sociale del fatto religioso >>. Così si espresse il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano interrogato sulla presenza del crocefisso, simbolo della religione cattolica, nei luoghi pubblici.

Pur apprezzandone il riferimento evidente al rispetto della pluralità religiosa, la definizione usata si presta tuttavia ad interpretazioni per lo meno ambigue.

Laicità, infatti, non coincide semplicemente con pluralismo religioso, pur essendo pre-condizione indispensabile. Consiste, piuttosto, nella rinuncia a far valere in luoghi pubblici e nelle questioni di rilevanza per tutti, posizioni ed argomentazioni motivate religiosamente. Non solo perchè, se le religioni sono più d’una, potrebbero avere posizioni contrastanti tra di loro su questo o quest’altro argomento, ma soprattutto perchè, in una società democratica e laica nessuna motivazione religiosa deve valere come criterio di regolazione valido per tutti.

Non si tratta quindi di far valere solo le credenze nel ‘fatto religioso’ dell’individuo come guida del proprio comportamento, ma si tratta di creare spazi in cui la ragione del confronto e della partecipazione non sia quella della appartenenza religiosa.

La questione dell’esposizione in pubblico del crocefisso sta tutta qui, per quanto nobile ed importante sia la tradizione di cui il crocefisso è simbolo, esso non può marcare lo spazio pubblico, come tale di tutti. Tanto più non dovrebbe marcare un luogo come, per esempio, una scuola: il luogo della formazione educativa, in cui si dovrebbe imparare non solo il rispetto delle appartenenze e dei valori di ciascuno, ma anche a confrontarsi nonostante le diversità, per costruire sane identità comuni, inclusa quella ‘italiana’.

La salvaguardia di uno spazio pubblico, libero da marcature religiose, mentre legittima la pluralità di forme in cui il ‘fatto religioso’ si manifesta, consente anche una presa di distanza critica ed una riflessione su cosa è congruente, oppure no, con la democrazia ed il rispetto delle libertà individuali.

Ma forse è proprio questo che fa paura ai difensori ad oltranza del crocifisso nei luoghi pubblici. Ancora più del pluralismo religioso, temono la verifica critica delle proprie motivazioni e “ragioni”.

Sbalorditiva ci è poi sembrata la presa di posizione della ‘Corte europea dei diritti dell’uomo’ in margine alla questione. Chiamata ad emettere un giudizio sull’esposizione del crocefisso, ha rilevato la non sussistenza di prove che portino a ritenere, l’esposizione di un simbolo religioso in un’aula scolastica, capace di influenzare il comportamente degli studenti, con conseguenze discriminatorie nei confronti di chi cristiano non è. La Corte ha argomentato questa presa di posizione con il fatto che trattasi di: <<simbolo passivo>> e che come tale non può influenzare le coscienze e tanto meno turbarle.

Incredibile! Mentre viene negato il valore di chi non vi si riconosce, indebolisce il valore dello stesso simbolo del cristianesimo. Il crocifisso viene derubricato a generico messaggio ‘umanitario’, anzi a testimonianza passiva.

Stupisce poi (ma c’era da aspettarselo ben conoscendo i polli), l’entusiasmo con cui il governo italiano (berlusconiano) e soprattutto il Vaticano, hanno accolto questa sentenza, accettando di fatto la forte svalutazione del simbolo stesso e della sua immagine. Una ulteriore conferma, che, a ‘lor signori’, sembra più importare il potere di controllo e di marcatura degli spazi, del mistero della fede e del messaggio dirompente del dio in croce.

Related posts:

  1. La libertà dei cittadini e quella dei servi
  2. Gli intransigenti
  3. Apologo sull’onestà nel paese di corrotti
  4. La sindrome berlusconiana