Siamo nel capitolo V, fra’ Cristoforo sale al palazzo di Don Rodrigo per distoglierlo dal progetto di prendersi per il suo capriccio la promessa sposa Lucia Mondella. Entra e raggiunge la sala da pranzo dove il signorotto, in casa sua, seduto a capo tavola, è circondato da una serie di ‘amici’ che lo omaggiano e lo riveriscono, evidenziandone il potere personale e soprattutto il grado di sudditanza degli ospiti. Chi sono costoro? Attilio, suo cugino, compagno di libertinaggio e soverchieria, il signor Podestà, colui a cui sarebbe toccato fare giustizia e far stare a dovere il ‘padrone di casa’ e per ultimo il dottor Azzecca-garbugli, che, come conoscitore delle leggi, avrebbe dovuto intervenire in difesa di Lucia Mondella e del suo fidanzato Renzo Tramaglino.

Ecco quindi una scena, vista, letta e rappresentata ormai troppe volte dal cinema e dalla letteratura, in cui chi rappresenta il potere siede a tavola, ride, beve e gozzoviglia con quelli che dovrebbero difendere gli umili dalla sua diretta arroganza. Del romanzo manzoniano, pur studiandolo a scuola all’età di tredici anni circa, se ne coglie il valore solo in età matura (in genere) e se ne afferra per intero la grandezza.

Qui sopra viene rappresentata  l’eterna Italia, dove si diventa servi per necessità e dove i furbi e gli arroganti plasmano le leggi secondo i propri voleri e i propri interessi.

 

Related posts:

  1. La libertà dei cittadini e quella dei servi
  2. Apologo sull’onestà nel paese di corrotti